Fotografie di
Lorenzo Zerbini
Testi di
Lorenzo Zerbini
Editing di
Simone La Penna
Categoria
Alleanze
Ombre latenti
Data di pubblicazione
26 Marzo 2023
Notes on Martian Botany
Introduzione alla serie: ALLEANZE indaga le possibili permutazioni e i rivolgimenti insperati di unioni che saremmo tentati di derubricare come condannate aprioristicamente al fallimento e alla rovina. Ma a emergere sono, invece, alleanze interspeciste che provano progressivamente a riallacciare un rapporto con l’umano, alleanze concettuali tra tecniche passate e prospettive post-umane proiettate verso il futuro, alleanze tra narrazioni fisico-visuali dall’impellente materialità e soggetti che mettono in crisi il rapporto tra realtà e immaginazione, presenza e assenza, spettatori e opere scrutate.
Notes on Martian Botany è un tentativo paradossale di costruire un primo erbario tassonomico delle probabili forme di vita vegetale che popolano il suolo marziano. Una serie di polaroid ritraggono ambigue formazioni fitomorfiche, istantanee prelevate dalla piattaforma online della NASA in cui viene documentata giorno per giorno la spedizione su Marte. Il lavoro segue la logica della pareidolia, o illusione pareidolitica, un’illusione subcosciente per la quale si tende a ricondurre a forme note oggetti o profili dalla forma inusuale. Alcune enigmatiche formazioni del suolo marziano sono ritratte come possibili tracce botaniche, in una spasmodica e disperata ricerca di forme di vita interplanetarie.
Contrariamente alla presumibile oggettività conferita dal mezzo, che per definizione richiede che il soggetto ritratto sia materialmente presente di fronte alla camera, l’opera si compone di immagini che sfumano i confini tra il reale e la finzione. Nella loro intrinseca paradossalità, pongono interrogativi attorno alla loro provenienza e contenuto, immaginando la possibilità futura di una reale vivibilità di Marte. Lo spazio virtuale diviene così concretamente cyber-spazio, potenziale paesaggio materialmente esplorabile in uno spazio-tempo altro.
La coesistenza, l’alleanza, la sinergia tra fratture spazio-temporali rappresenta la traccia sottesa, sotterranea e sussurrata di queste istantanee. A partire dalla confusione tra mezzo fotografico dell’immediatezza analogica e soggetto immaginifico della futuribilità tecnologica, per arrivare alla compenetrazione tra morfologie del suolo marziano e visioni bramose di sicurezza biologica, la consapevolezza che affiora in noi spettatori è una sola: non potremo mai essere certi di cosa stiamo guardando, stretti tra illusioni pareidolitiche che rispecchiano le nostre ossessioni di dominio antropocentrico e disperazioni futili nell’impossibilità di accettare l’assenza di quello che possiamo comprendere, persino su un altro pianeta.
A risultare opaco è lo stesso obiettivo di questa permutazione visiva: una quest interplanetaria che non sappiamo chi o cosa abbia voluto far iniziare; un inganno (forse persino involontario) che non capiamo chi abbia ordito; note botaniche sotto forma di immagini prese frettolosamente, segnate dalla bramosia di ottenere subito un risultato, una prova visiva. A sciogliersi non sono più solo i confini tra futuro, passato, reale e immaginifico, ma risulta soprattutto destituita di significato la supposta scientificità di una esplorazione spaziale che sembra essere preoccupata innanzitutto a riscontrare la presenza di quello che potrebbe soccorrerci, sostenerci, sostentarci, e che mai temiamo potrebbe invece sostituirci, soggiogarci.
Le prime fotografie della Terra scattate dalla superficie lunare vennero realizzate da Armstrong e Aldrin con una Hasselblad, poi abbandonata sul satellite per risparmiare peso durante il viaggio di ritorno. Allo stesso modo, possiamo supporre che la carcassa di plastica della Polaroid 600 che ha (o avrà) scattato queste fotografie giaccia (o giacerà un giorno) sul suolo marziano. L’ultima domanda che ci pongono queste note non può che essere questa, allora: la nostra colonizzazione concettuale verrà prima o dopo quella dei nostri relitti tecnologici? La violenza pareidolitica delle nostre insicurezze saprà mantenere il passo con quella terraformatrice dei nostri rifiuti?