Disegni di
Andrei Costantino Cuciuc
Editing
Simone La Penna
Categoria
Corto-circuiti
Grafonauta
Ombre latenti
Data di pubblicazione
21 Maggio 2023
Intanto questo è sangue
Introduzione alla serie: GRAFONAUTA si presenta come una sperimentazione di rara inconcludenza e preziosa incertezza, un tentativo raffazzonato di costringere una produzione tanto coesa quanto incoerente in una formalizzazione arida, talvolta lasca e talvolta troppo stringente, di un’evoluzione tecnica e temporale in fondo insussistente, donandoci come risultato solo il dubbio di aver visto sempre la cosa sbagliata. Attraverso nove categorie criptiche, ritrose e dai sottotitoli che (si) respingono sempre più nel proprio stesso inconscio, si dipana una temporalità artistica sbilenca e smaccatamente incongrua, in cui un percorso tematico-cronologico di stampo museale perde progressivamente il proprio senso, sempre più scandagliando le proprie indecisioni, fratture e mancanze. La messa in scena ottenuta, paradossale e inquietante, è quella di produzioni estemporanee che, pur già consapevoli della propria natura materica, non si sottraggono mai soprattutto alla riflessione su sé stesse, non si accontentano mai di farsi indagare senza, frattanto, indagare le reazioni dei loro osservatori: per ricordarci sempre di guardare anche nello spazio che non è stato ripreso, nel vuoto digitale che poteva ospitare ancora una pagina di grafie, per invitarci a navigare questa assenza. Scrutare gli interstizi, ponderare gli equilibri tra pienezze aggrovigliate e sideralità tra segni isolazionisti (o tra umanità isolate), abbandonarsi al gioco delle assenze di assenze che non sono mai propriamente delle presenze: è questa la proposta di GRAFONAUTA, un invito a navigare le grafie che non ci sono ancora.
Intanto, questo è sangue.
margini
(fatti mancati)
sottigliezze
(compulsioni)
tracciati
(scacciapensieri)
risvolti
(l’Altro)
mostri
(riflessi)
organismi
(cadaveri sensuali)
coincidenze
(paesaggi sconsci)
chroma key
(alienazioni)
sincronie
(di · stanze)
Per una serie che si ripropone (e tacitamente promette) di tracciare una cronologia dello sviluppo artistico di un autore, Intanto questo è sangue rappresenta la prima delle mancanze, delle assenze, delle disillusioni di cui è in realtà composta GRAFONAUTA. Lo è, innanzitutto, nello scoprire così platealmente le carte sulla questione cronologica: priva di qualsivoglia punto di riferimento esterno, troncando ogni appiglio con il reale diacronico tramite l’assenza di didascalie, titoli e specialmente date, l’immagine-tassello di una temporalità sovvertita e impossibile a definirsi si palesa in una forma che sfiora la trascendenza digitale pur non sacrificandosele mai, e anzi resistendovi e contrapponendovi la propria sfacciata matericità. È dunque questo, il primo risultato di un simile mosaico conteso tra dissonanze: riconoscere che il vero senso della datazione artistica musealizzante non è il riavvicinamento alla storia delle opere, ma la loro completa e totalizzante mummificazione, ormai in grado di palesarsi anche in un vuoto concettuale per una preservazione assoluta, e che rinunciarvi, rinunciare all’inserimento in una storiografia, è paradossalmente il primo passo per un duplice movimento di ascesa alla trascendenza delle scansioni digitali e, contemporaneamente, di continuo reintegro della propria fisicità, sempre esposta, invocata, denunciata. In Intanto questo è sangue le pagine di quaderno sono visibilmente tali, e non ci privano, come farebbero se fossero state sterilizzate ed estromesse della propria contingenza materica, della possibilità di riconoscerle per la loro innata recalcitranza alla banalizzazione curatelare.
Emerge da qui, da questo eroico imporsi fisico anche nella pacatezza e silenziosità di alcune delle opere, la seconda denuncia della provvisorietà e finzionalità dell’impianto scenico: quella copertina che, platealmente meta-grafica, suggerisce di essere non solo copertina di pubblicazione, ma anche copertina effettiva di un ipotetico quaderno da cui siano stati tratti i disegni proposti, non può resistere sotto la pressione dell’eterogeneità di materiali, forme, fatture, tratti, ispirazioni e consapevolezza estetica. Lungi dal fungere come collante di coesione fra pagine, una simile copertina si fa, anzi, suggello definitivo del sommovimento temporalmente rizomatico che costituisce il vero ingresso nel corpo (e nell’anima) di questa opera di opere. Già privi (o privati) di punti di riferimento per il collocamento temporale di disegni il cui gradiente di estemporaneità (e quindi di preordinazione, di progettazione aprioristica e artisticamente concettuale) rimane sempre sottaciuto, l’intanto con cui veniamo accolti non può che frustrarci ulteriormente, in questa quest futile e innecessaria: la nostra ricerca del rassicurante tempo perduto della certezza cronologica si deve interrompere, per accogliere al suo posto l’incerto tempo ritrovato dell’interiorità segnica, e al riconoscimento di un doloroso tempo personale (d’altronde, quello che vediamo, è sangue).
Se, allora, di temporalità possiamo ancora parlare, non sarà in termini di cronologia, ma di cronografia. E non di cronografia intesa scientificamente e storicamente, ma di cronografia intima, quasi intimista, di cronografia che sfrutta il segno come propulsore della propria disperata ricerca autodefinitoria. Perché l’essenza di questi disegni sta tutta nel loro tentativo di ritrovarsi, di riconoscersi ancora come parte di un insieme diverso, come pagine esterrefatte di fronte alle contigue così diverse dal normale, eppure ancora impegnate nel legarsi in un nuovo corpus che la propria sincronicità (e sin-matericità) deve ricostruirsela con fatica, con sangue. Se, come ci dice l’autore, “ogni segno è un autoritratto” (corsivo mio) allora, da osservatori, non possiamo che accettare (e accertare) un processo di risignificazione dei segni stessi, dalle espressioni più radicalmente astrattiste a quelle più convintamente figurative, dalle programmatiche alle spontanee, un processo di accoglimento reciproco di una distanza attuabile solo per tramite di una interiorità condivisa, frammentaria, ritrosa ma disponibile all’indagine, anche certosina, minuziosa: guardando questi disegni, tanto eterogenei quanto bisognosi, quasi imploranti di una nuova coesione (presto ottenuta), ci coglie la necessità di scrutarne i dettagli, i passaggi del tratto talvolta maniacali e talvolta frettolosi se non puramente accennati, ma anche quella di interrogarci sulla loro categorizzazione, sulla loro distanza tassonomica, sulla fragilità di questa stessa suddivisione, sulla possibilità che ci fosse altro, oltre a quello che vediamo, e infine all’ammissione che non ci è concesso, questo altro. Ci è concesso solo questo insieme di insiemi.