Disegni di
Andrei Costantino Cuciuc
Editing
Simone La Penna
Categoria
Corto-circuiti
Grafonauta
Ombre latenti
Data di pubblicazione
17 Settembre 2023
Pareidolie
Introduzione alla serie: GRAFONAUTA si presenta come una sperimentazione di rara inconcludenza e preziosa incertezza, un tentativo raffazzonato di costringere una produzione tanto coesa quanto incoerente in una formalizzazione arida, talvolta lasca e talvolta troppo stringente, di un’evoluzione tecnica e temporale in fondo insussistente, donandoci come risultato solo il dubbio di aver visto sempre la cosa sbagliata. Attraverso nove categorie criptiche, ritrose e dai sottotitoli che (si) respingono sempre più nel proprio stesso inconscio, si dipana una temporalità artistica sbilenca e smaccatamente incongrua, in cui un percorso tematico-cronologico di stampo museale perde progressivamente il proprio senso, sempre più scandagliando le proprie indecisioni, fratture e mancanze. La messa in scena ottenuta, paradossale e inquietante, è quella di produzioni estemporanee che, pur già consapevoli della propria natura materica, non si sottraggono mai soprattutto alla riflessione su sé stesse, non si accontentano mai di farsi indagare senza, frattanto, indagare le reazioni dei loro osservatori: per ricordarci sempre di guardare anche nello spazio che non è stato ripreso, nel vuoto digitale che poteva ospitare ancora una pagina di grafie, per invitarci a navigare questa assenza. Scrutare gli interstizi, ponderare gli equilibri tra pienezze aggrovigliate e sideralità tra segni isolazionisti (o tra umanità isolate), abbandonarsi al gioco delle assenze di assenze che non sono mai propriamente delle presenze: è questa la proposta di GRAFONAUTA, un invito a navigare le grafie che non ci sono ancora.
Mi ritaglio così.
Pareidolie condensa in un unico movimento di (solo apparente) coerenza e stabilità due prospettive al cuore di GRAFONAUTA: l’esigenza di navigare le grafie ancora magmatiche, i segni ancora inespressi e potenziali, e il riconoscimento di come “ogni ritratto [sia] un autoritratto”. Viaggiamo, quindi, ancora in una dimensione personale ma lacera, lacerata, che soffre tanto di incomunicabilità (tra sé, tra le proprie parti, con i suoi scrutatori) quanto di alienazione: il diabolico volto finale, separato e quasi sfregiato (ma forse costituito e quasi creato) da nette e spesse linee, è una ricomposizione o una frammentazione? Se dunque una relazione esiste, in quest’opera, non può che essere parziale e contraddittoria, quantistica nel suo continuo infrangersi contro la percezione dell’osservatore: se il susseguirsi dei disegni suggerisce una piana ed evidente progressione da un’astrattismo marcatamente essenziale a una densità cromatica che recupera in extremis un mimetismo seppur ancora onirico, il titolo della serie infrange ogni possibilità di riconoscimento istantaneo del soggetto rappresentato, instaurando piuttosto una condizione ontologica di dubbiosità e incertezza.
Già affrontato su Limen Pastiche in Notes on Martian Botany di Lorenzo Zerbini, il fenomeno della pareidolia mantiene anche qui la sua carica disgregante, la sua promessa di confusione continua del limite tra rappresentazione e referente, tra percezione e inganno. Ma se nelle finzionali polaroid dell’opera di Zerbini la pareidolia è suggerita ma mascherata, e il suo riconoscimento funge da perno per la comprensione dell’ottica antropocentrica con cui abitiamo il reale, in questa raccolta l’invito a rapportarsi con i disegni secondo una prospettiva pareidolitica non rappresenta una cocente accusa verso i nostri modelli conoscitivi, ma un’inquietante possibilità di incomprensione totale. La pareidolia, e anzi le pareidolie, lavorano qui su opere che non l’accolgono, piuttosto la respingono nel tentativo di recuperare una significazione compiuta, di diventare segno: abbandonarsi all’illusione vorrebbe dire scomporle, costringendoci a scavare ulteriormente per domandarci, allibiti, “Questo ritratto, se non è un ritratto, cos’è?”.
“Un autoritratto”, si potrebbe rispondere per chiudere un cerchio, ma la contraddittorietà rimarrebbe comunque invitta, innescando nel migliore dei casi un circolo vizioso in cui, di volta in volta, si risponderà che se questi non sono ritratti sono autoritratti, ma se non sono autoritratti allora saranno ritratti, e così via. La pareidolia ci costringe ad abbandonarci a un’assenza strutturale di conoscenza, a un ribaltamento sostanziale: le espressioni iniziali, più astratte, ci interrogano su cosa crediamo di vedere, ma nella loro plasticità ci offrono delle possibilità trasformative che invece rimangono tragicamente precluse ai ritratti più evidenti, che se vivono anch’essi di pareidolia devono nascondere per forza, allora, una rete nascosta e sotterranea, un’essenza altra. Zerbini assolda l’inganno per svelarne uno maggiore, usa la percezione autoprodotta per scardinarne una più radicata e meno contingente; Cuciuc trascina la pareidolia lì dove non è naturale trovarla, per rivelarci che l’inganno può annidarsi dovunque, per suggerirci una realtà ulteriore ma non dirci cosa dobbiamo cercare. Per farci forse rimanere nell’eterno dubbio che, qualsiasi cosa vediamo in questi disegni, potrebbe essere quella sbagliata. Per farci cercare, un’ultima volta, nei margini bianchi.