Film di
Jacopo Abballe
Editing di
Simone La Penna
Categoria
Amateur
Ombre latenti
Data di pubblicazione
20 Ottobre 2023
Fumo nei miei occhi
Introduzione alla serie: realizzati senza alcun finanziamento esterno e in molti casi portati a termine senza alcun tipo di spesa in termini economici, i cortometraggi di AMATEUR si inscrivono perfettamente nella tradizione di in un cinema amatoriale giovanile che non conosce vincoli o imposizioni. Questi artisti non rifiutano la loro condizione di amatori, ma anzi la glorificano con il proprio lavoro no-budget, affermando le infinite possibilità del cinema e, insieme, un’urgenza espressiva che trascende qualsiasi guadagno.
Ombra latente nella sua accezione più pura, Fumo nei miei occhi si distingue per un’inesauribile desiderio di creare contraddizioni, crasi, contrasti, persino cecità: corto dall’andamento strutturato e metodico, quasi una piccola argomentazione, ci ingabbia in un gioco di sguardi impossibili che bramiamo ma non potremo mai avere e di sguardi potenziali alla nostra portata ma che ci si sottraggono. Così, tra le due figure protagoniste si instaura una relazione conflittuale di presenza-assenza che comporta un loro mescolarsi nella confusione dei confini creati dal fumo, ma col paradossale risultato di far meglio emergere, in questo incerto ricombinarsi, proprio gli elementi che più le distinguono.
Susan Sontag, nel saggio introduttivo di On Photography, ammoniva sulla “chronic voyeuristic relation to the world which levels the meaning of all events” realizzata dalla proliferazione del mezzo fotografico. Nel suo indagare le differenze, i limiti e le potenzialità di due media fratelli come fotografia e cinematografia, Abballe ci lascia interrogare sulla dinamica relazionale che le governa in questa specifica istanza: siamo di fronte a una revivizzazione di un passato insondabile tramite la materia viva dell’ “amante” o di fronte a una cristallizzazione voyeuristica di questa stessa figura per tramite di un male gaze che ha bisogno, innanzitutto, di fermarne il movimento per poterla propriamente scrutare? Detto altrimenti, è il fotografico a movimentarsi in cinematografico o il cinematografico a rallentarsi fino alla stasi fotografica? E ancora, qual è allora la relazione che intercorre tra l’intreccio di sguardi (del fotografo, del cineasta, del protagonista, del ) in cui è presa la “sposa” e il districarsi (se non proprio liberarsi) dell’ “amante”? Quale dei due movimenti innerva l’altro, quale dei due informa maggiormente l’impossibile e contraddittoria crasi finale?
Nella desaturazione degli ultimi fotogrammi si concretizza l’impossibilità del vedere pienamente, e soprattutto del trasferire la modalità della visione fotografica a un soggetto cinematografico e viceversa. Destinate a mescolarsi ma a rimanere contempo separate, le due figure non propongono una soluzione se non a costo di ignorare deliberatamente il problema, non solo spostando il focus ma direttamente recuperando, in extremis, una dimensione squisitamente, anche violentemente altra, insondabile innanzitutto dagli spettatori condannati a una presenza-visione bidimensionale: “che cosa tocchiamo, quando tocchiamo una foto?”.