Testi di
Moreno Hebling
Editing di
Alice Migliavacca
Categoria
Passaggi viscerali
Torre d’avorio
Data di pubblicazione
30 Maggio 2024
L’eterno presente monetizzato
Loop culturali, accelerazionismo e post-memetica
Abstract: La nostra condizione contemporanea è segnata dall’atemporalità. Mark Fisher parla di presente continuo, condizione per la quale non siamo più̀ in grado di situarci storicamente. Al fine di comprendere meglio questa situazione culturale possiamo fare un parallelismo con un concetto simile proveniente dal buddhismo: l’eterno presente in questo caso fa riferimento a una condizione di risveglio spirituale. C’è un collegamento implicito tra il capitalismo e l’interesse recente (e forse già in fase di appassimento) per le forme di meditazione. Nella sua versione occidentale, però, l’approccio al buddhismo manca il punto. Da questo innesto di elementi ne risulta un’accozzaglia di spiritualità diverse che conduce a una deviazione monetizzata della stessa, e a una trasformazione epistemica dell’individuo pensante. Se il fine ultimo della meditazione buddhista è il raggiungimento del distacco dalle nostre emozioni, la sua versione occidentale despiritualizzata trasforma la non-azione spirituale in impotenza volontaria di fronte ai flussi semiotici di produzione, distribuzione e accumulazione. Sotto queste forze antispirituali, il risveglio zen si è trasformato in nichilismo passivo. In entrambi i casi, tutto ciò̀ che esiste è il momento presente. La domanda è: come possiamo immaginare il futuro se non siamo in grado di concepirlo? A livello culturale questa condizione si rende percepibile nella comunicazione, segnata da appropriazioni e variazioni sul tema. È interessante analizzare alcune risposte a questa staticità̀, che si possono trovare nelle teorizzazioni accelerazioniste e nel linguaggio memetico della xenoleft. Questi movimenti dichiarano guerra aperta contro il realismo neoliberista al fine di iperstizionare il futuro come tentativo di riattivazione temporale e liberazione dell’immaginario dal loop culturale nel quale stiamo vivendo. Eppure, anche l’accelerazionismo sembra ormai essere un meme già superato, e, vista la pervasività dei meme nella comunicazione, sembrerebbe che siamo entrati in una fase ormai post-memetica. Si ipotizza quindi un modo di utilizzare i meme in maniera strategica, ripescando dall’immaginario solarpunk.
Introduzione
Nel panorama culturale, la concezione temporale tradizionalmente intesa sembra essere collassata su se stessa, come se sia il passato che il futuro siano coagulati nel punto mediano di un presente che si ripropone all’infinito. Nel mondo occidentale regna un regime temporale basato sull’adesso, strettamente legato alle strategie di gratificazione immediata e sovrastimolazione. Questo presente continuo, come lo definisce Frederic Jameson, è un tratto costitutivo della postmodernità. Nelle sue parole, “laddove tutto si presta al continuo succedersi di mode e rappresentazioni mediatiche, nessun cambiamento sarà più possibile”[1]. Questa è la grande impasse della contemporaneità.
Il critico inglese Mark Fisher accusa il realismo capitalista, ovvero l’ideologia predominante nel nostro tempo, che consiste in una forma di regime psicologico che rende inconcepibile ogni tipo di alternativa che non sia capitalista. Fisher descrive il capitalismo come “un’atmosfera che pervade e condiziona la produzione culturale […] e che agisce come una specie di barriera invisibile che limita tanto il pensiero quanto l’azione”[2]. Portando come esempio lo sviluppo delle tecnologie, Fisher nota che le industrie, più che produrre innovazione, si occupano di produrre upgrade: i prodotti si riproducono costantemente migliorandosi. In un certo senso, l’avanzamento tecnico (quando avviene) è il risultato del punto più alto di upgrade possibile. Le creazioni vengono perfezionate (elettrodomestici, cellulari, tecnica medica) ma la loro natura non viene mai stravolta. Probabilmente sono queste le cause della staticità culturale nella quale ci troviamo.
Questo paper si propone di delineare una possibile via d’uscita dal loop culturale attraverso la pratica memetica usata come strumento politico-culturale, problematizzandone alcuni aspetti.
Nel primo paragrafo si usa il buddhismo come chiave di lettura filosofica della contemporaneità, paragonando il “presente continuo” capitalista all’“eterno presente” dell’illuminazione spirituale. Si vuole mostrare come le pratiche meditative di “osservazione distaccata” siano state despiritualizzate e diventate parte della quotidianità occidentale, inibendo il potenziale e il desiderio di azione individuale. Sebbene il paragone sia in grado di far luce su questa nuova condizione psicologica, da solo non basta a chiarire le dinamiche sociopolitiche nelle quali ci troviamo.
Nel secondo paragrafo si prendono in analisi le teorie accelerazioniste del CCRU[3] e il modo in cui possono aiutarci a delineare una strategia di riattivazione temporale e di liberazione dell’immaginario. È in particolare il concetto di “iperstizione” a venire applicato nella lotta politica della xenoleft – la neosinistra accelerazionista radicale – che usa come arma di diffusione di informazioni i meme.
Nel terzo paragrafo si prendono in considerazione alcuni esempi memetici, cercando di far luce sulle densissime e multiple basi teoriche su cui si fondano queste immagini, che, seguendo lo slogan “iperstizioniamo il futuro”, tentano una mossa controegemonica per accelerare la fine del capitalismo. Tuttavia, non tutti i movimenti accelerazionisti sono pienamente allineati su questo punto.
Nel quarto capitolo si prende in analisi quella branchia dell’accelerazionismo che critica sia la destra che la sinistra di aver dimenticato il punto dell’accelerazionismo originario e come monito ricorda che pilotare l’accelerazione equivale a catturarla nelle maglie antropocentriche, impedendo il pieno dispiegamento del futuro. Anche in questo caso, la memetica torna come strumento politico, ma senza ridursi a propaganda.
Infine, si tratteranno alcuni esempi di correnti memetiche che sembrano mettere in crisi i presupposti rivoluzionari, e, al contempo, offrono delle possibilità liberatorie prettamente accelerazioniste, anche se di fatto sono distanti dalla corrente.
Parallelismi tra “presente continuo” ed “eterno presente”
Nel buddhismo zen, l’“eterno presente” non è un concetto tanto legato alla cultura quanto alla spiritualità e ha a che fare con l’illuminazione. Nelle parole di un maestro, essere illuminatə è come essere “il fondo di un secchio sfondato”[4]. Potremmo definire l’illuminazione una condizione psicospirituale nella quale non c’è più filtro tra il pensiero inconscio e il suo emergere nella coscienza[5], una condizione in cui tutto ci attraversa senza mai sedimentarsi (come per la metafora del secchio). È in questo, grossomodo, che consiste la percezione dell’eterno presente: la realizzazione che passato e futuro sono niente più che concetti arbitrari usati al fine di catalogare le esperienze e definire ciò che ancora non è accaduto. Ci troviamo in una zona mediana in cui il mondo e il tempo riconfermano la loro esistenza un istante per volta.
Sebbene io nutra qualche dubbio sulla presunta inesistenza del tempo, la constatazione che solo il presente può essere esperito resta un punto focale. Il tempo degli orologi è una formalizzazione tecnica che non riguarda il tempo vero e proprio, che prosegue anche senza di essi. Questo è per certi versi un dato di fatto. Che sia il tempo ad attraversarci o noi ad attraversare lui, rimane innegabile che esso ci appartiene solo nell’Ora, sebbene la sua esistenza sia riscontrabile nei suoi effetti: le piante crescono, le persone muoiono.
Potremmo forse spingerci ad affermare che sia solo il futuro a non esistere, dal momento che mai viene raggiunto. Il passato è stato, il presente è, il futuro non è ancora. Si tratta di una virtualità intangibile e variabile anche se a tratti prevedibile.
Questo punto in particolare diventerà interessante quando si arriverà a discutere delle pratiche filoaccelerazioniste di riattivazione temporale, ma diamo tempo al tempo. Tuttavia, il presupposto per cui il tempo sia un’illusione a volte porta a dimenticare o a nascondere il fatto che anche l’Io sia un’allucinazione, prodotta dal contatto tra l’osservante e l’osservatə.
Questa illusorietà dell’Ego, incrociata all’interpretazione buddista del tempo sopracitata, è rintracciabile nelle forme estetiche orientali delle xilografie Ukyo‑e e della poesia Haiku, entrambe rappresentazioni contemplative della realtà per ciò che appare (dunque, per ciò che è). Un’altra pratica interessante sono gli Ensō, rappresentazioni circolari fatte con un solo movimento di pennello, usate come firma dai maestri zen ma anche come simbolo, che potremmo ulteriormente concepire come indicazione estetica del ritorno ricorsivo del presente su se stesso.
Questi tre tipi di rappresentazione, come in molte altre filosofie orientali, rappresentano per lo più osservazioni o constatazioni del momento presente. Prendiamo però ora in considerazione la meditazione mindfulness, teorizzazione occidentale di base psicologica che deve molto al buddhismo zen e allo yoga, che si offre a noi come una forma di meditazione despiritualizzata. Si tratta di una modalità per prestare attenzione, momento per momento, nell’hic et nunc in modo intenzionale e non giudicante[6].
In questo senso non è molto diversa dalla meditazione vera e propria, ma c’è una differenza fondamentale: la mindfulness si pone come strumento per cogliere i pensieri negativi nel sorgere al fine di gestirli, mentre la meditazione non pretende di avere uno scopo, dal momento che meditare è sia il mezzo che il fine ultimo dell’atto meditativo. Questa differenza verrà ripresa e problematizzata più avanti.
È interessante come la meditazione mindfulness abbia avuto un ritorno di fiamma in un momento storico in cui “il cambiamento è così rapido che riusciamo a vedere il presente solo quanto sta già scomparendo”[7]. Scevra da ogni componente spirituale, la meditazione torna in nostro soccorso come psicofarmaco placebo. Non c’è più Nirvana da raggiungere o ruota del karma da spezzare: è solo un modo come un altro di alleviare lo stress psicologico. Chi la pratica vuole fare esperienza dell’eterno presente, ma ciò che si trova a vivere non è altro che il presente continuo capitalista, ed è qui che la despiritualizzazione mostra i suoi danni.
In che modo si coniuga il Verbo capitalista (“produci, consuma, crepa”[8]) con quanto detto finora? Viste le nuove condizioni di produzione, fruizione e circolazione veicolate dai nostri smartphone, questo stadio avanzato viene chiamato da Bifo Berardi “semiocapitalismo”. Questo prolungamento cibernetico che è lo smartphone ha fluidificato la temporalità individuale, negando di fatto le differenze tra i diversi momenti delle giornate in favore di un continuum indistinto che ha le sue ricadute soprattutto a livello fenomenologico, venendo così a creare quel presente continuo caratterizzante della nostra epoca. Gettatə in questa sottomarca dell’eterno presente, abbiamo iniziato a vivere e percepire le nostre esistenze un istante per volta, ma questo è ben distante da considerarsi un buon risultato.
Potremmo paragonarci al TV Buddha di Nam June Paik [fig. 1]. In quest’opera vediamo una statua di Buddha seduto davanti a un televisore alle cui spalle sorge una telecamera, che la riprende frontalmente e manda in onda sullo schermo il filmato. Il lavoro fa il riferimento alla meditazione, all’avere “coscienza della coscienza”, all’osservarsi mentre ci si osserva pensare, senza interagire.
fig.1
Nam June Paik, Tv Buddha, 1974
Stedelijk Museum, Amsterdam
Va però notato che molti dei concetti orientali possono sembrare a noi occidentali elaborazioni nichiliste. Idee come Vuoto, Nulla, Quiete, Non-Pensiero e altre possono apparire una forma di passività ascetica, di “quietismo negativo”[9] non molto diverso dall’abbandono di sé volontario di fronte al caos e all’insensatezza. In un certo senso, una forma di resistenza di fronte allo stress può essere la pratica del distacco praticata durante la meditazione: è il caso della mindfulness. Queste pratiche meditative consigliano di cogliere i pensieri come onde, lasciare che arrivino e sentire che si allontanino, evitando che questi ci intacchino. Ma pratiche come lo zazen hanno lo scopo di condurre al satori, che è ben altra cosa da alleviare lo stress attraverso la distrazione cosciente e l’indifferenza forzata. Se praticata senza cognizione di causa la meditazione rischia di ridursi a gesto vuoto, in cui il distacco si trasforma in distanziamento e l’accettazione si trasforma in passività, una valvola di sfogo e una pratica attraverso la quale poter vivere con più leggerezza il mondo che ci circonda abbandonando appieno la speranza di cambiamento: quella che viene a crearsi è una situazione in cui “anche se manteniamo una distanza ironica da quello che facciamo, continuiamo comunque a farlo”[10].
La nostra pratica meditativa occidentale despiritualizzata perde completamente il punto e si ritorce contro se stessa. Se è vero che il meditare non ha scopo, è anche vero che in occidente il non-scopo viene letto come un sinonimo di assenza di scopo di stampo nichilista, e la meditazione diventa una forma di distrazione rassicurante.
Tutto quanto detto finora pare venire applicato come automatismo anche da chi, di meditazione, non si è mai interessato. Secondo Bifo,
In seguito alla diffusione [della] Internet, la proliferazione di fonti di informazione crea una nuova infosfera e intensifica la circolazione di segni con l’effetto di un’accelerazione illimitata del tempo mentale. L’esposizione della mente cosciente ai contenuti portati dal mediascape diviene così rapida, così breve, che l’elaborazione critica viene ad essere disattivata.[11]
È in questa “disattivazione della coscienza” che ci allontaniamo dall’elaborare mentalmente gli eventi e finiamo a farne pura esperienza. Diventiamo passivə e distaccatə di fronte ai flussi semiotici che il capitalismo produce e mette in circolazione. Anche noi ci osserviamo, ma, privi di una ragione per farlo, assistiamo al nostro essere all’interno della quotidianità, mentre svolgiamo la nostra routine: un osservarsi mentre ci si osserva produrre. Ma siamo produttivə in che senso? Essendo il semiocapitalismo segnato dalla produzione e circolazione di segni, il solo fatto di assorbire passivamente le informazioni passate attraverso le immagini è già di per sé una forma di consumo e produzione, poiché noi users, il vero prodotto dei social network gratuiti con cui ci interfacciamo, produciamo continuamente data.
C’è un ultimo fattore da analizzare, che si lega nuovamente al concetto di presente continuo, ossia il paradosso per il quale noi ci muoviamo a una velocità tale che ci rende, di fatto, immobili nel tempo.
Ipervelocità statica: accelerazionismo e loop culturale
Un altro spunto di riflessione viene dal campo dell’accelerazionismo, corrente filosofica che ha fatto come suo centro di riflessione il capitalismo. Fusione di filosofia, cibernetica, occultismo e sci-fi, l’accelerazionismo originario della CCRU dichiara “guerra senza indugi a quel concetto di umanesimo”[12] visto come limite al pieno dispiegamento del futuro e riconosce nel capitalismo un motore in grado di guidare la transizione dall’umano al postumano. L’accelerazionismo dunque ci chiede di dimostrare “il coraggio di sentire cosa c’è dopo la fine del mondo che conosciamo”[13]. Il desiderio è quello di assecondare le forze oscure dell’apoteosi cibernetica, al fine di accelerare l’avvento di singolarità tecnologiche per le quali l’umanità non sarà che zavorra – quindi, in un certo senso, accelerare la fine dell’antropocentrismo. C’è però un ulteriore punto che, per quanto segnato da un certo tecno-ottimismo quasi fantascientifico, è per noi di fondamentale importanza: la riflessione sugli aspetti spiccatamente virtuali del futuro.
Questa teoria visionaria, oscura, distopica e nichilista ai limiti dell’orgasmo, è stata ripresa, elaborata e sviluppata in varie direzioni, per esempio da Mark Fisher, Ray Brassier e Kodwo Eshun, ma c’è un assunto fondamentale che collega tutte le sottocorrenti: il processo, a questo punto, non può essere fermato.
Per certi versi potremmo vedere l’escatologia accelerazionista come un ultimo baluardo della tecnoutopia futurista con innesti postumani, fomentata dal nascente internet e dall’estetica cyberpunk – accompagnata dal fascino liberatorio che consegue dal lasciarsi andare e dalla jouissance del proprio disfacimento organico[14] a favore di un futuro informatico e incorporeo. Questo sogno orgiastico-apocalittico può anche essere letto come una tentata somatizzazione del millenium bug dietro l’angolo, il panico da cambio secolo che ricorda eccessivamente un “mille e non più mille” in versione tecnologica. Il fallimento di questa apocalisse/rivelazione segnò un ritorno alla normalità che l’11 settembre 2001 consegnò alla staticità totale[15]. Tutto si fermò. Questi eventi segnarono un abbandono delle speranze utopiche e liberatorie della filosofia accelerazionista, che venne minata anche dalla crescente privatizzazione dell’internet e dall’implementazione del cybercontrollo della guerra al terrorismo.
Le risposte a questa situazione occupano uno spettro che va dal disperato tentativo di decelerare[16] alla volontà di abbracciare l’apocalisse. Il filosofo Nick Land – genitore, con Sadie Plant, della corrente – propone per esempio un “illuminismo oscuro” antidemocratico e neoreazionario, immaginando un mondo senza politica gestito da multinazionali, una sottomissione volontaria e teologica alle forze incontrollabili della tecnologia. Nella sua fase di pensiero iniziale, invece, (ugualmente delirante ma decisamente più raffinata), Land si approcciava al capitalismo in maniera radicale, leggendolo come vettore di un’entità molto più potente, inumana, aliena. Si tratta del sistema economico più adatto a trasportare in sé il virus postumano, corrodendo, con la sua deregolamentazione, ogni alternativa organica al suo avanzamento inorganico. In termini filosofici, questa distruzione viene letta come un superamento dell’umanesimo più che dell’essere umano, ma questo progetto passa attraverso uno stile di fiction speculativa di ispirazione pulp e dal sapore schizofrenico. Nella sua fase finale, queste vertigini esistenzialiste finirono con il trasformarsi in neoreazione, uno strano gioco di temporalità contrastanti che presenta l’immagine di un mondo quasi feudale di indole razzista e antifemminista. Nel mondo neoreazionario di Land, il presente viene stritolato dentro una doppia tenaglia in cui il futuro (neo-) retrocede verso un passato (reazione) che a sua volta tragitta verso il futuro. Tutto sommato, l’immagine di un patchwork territoriale in stile feudale non è molto diverso dalla condizione mediana in cui ci troviamo, talvolta definita come “interregno”[17], altre come “nuovo medioevo” oppure, seguendo la proposta di Gianīs Varoufakīs, “tecnofeudalesimo”[18], una situazione potenzialmente simile a quella descritta da Land in cui sono le Big Tech ad aver preso il totale controllo della situazione. Varoufakīs tuttavia si spinge oltre, affermando che il capitalismo in quanto tale di per sé è già morto, ed è stato anche già superato. Queste posizioni affascinanti meriterebbero uno studio più approfondito, ma le tralasceremo in questa sede perché si tratta di posizioni filosofiche che, sebbene da un lato affermino una visione landiana di doppia tenaglia temporale (la fusione di tecno- e -feudalesimo è già di per sé un cortocircuito temporale), dall’altro postula una morte del Capitale che si trova antitetica con le visioni accelerazioniste. Ad ogni modo, entrambe le posizioni sembrano d’accordo su un punto fondamentale: il futuro giungerà a noi come versione 2.0 di un passato remoto, rimasticato e implementato dalle nuove tecnologie.
Un punto di vista alternativo a questa distopia (descritta da Land stesso come “l’inferno, per l’eternità”[19]) viene dato nell’#AccelerateManifesto, nel quale si sostiene che Land “confonde la velocità con l’accelerazione. È vero che ci muoviamo velocemente, ma solo entro un set rigidamente definito e fisso di parametri capitalistici”[20]. In altre parole, nonostante la velocità, il progresso, oltre che autosabotarsi portandoci all’inferno, è fermo – e anzi sembra quasi tornare indietro.
Quest’ottica offre un’interessante punto di vista sulle tendenze artistiche postmoderne come l’appropriazionismo, il remix e il pastiche. Nicolas Bourriaud sostiene che “il postmodernismo è stato il paradigma di un’estetica senza esterno, fatta di citazioni, auto-divorante”[21]. Nell’impossibilità di creare, l’arte si è trovata a ricopiare, colpita da un blocco creativo avanzato di pari passo con un blocco immaginifico della società che, da quel momento, ha iniziato a ripetersi in un loop culturale. In un certo senso, siamo ormai in grado di produrre soltanto arte “contemporanea”. Anche questa terminologia è di per sé indicatrice di questa ricorsività temporale. Il termine “arte contemporanea” è una cappa semiotica che impedisce il suo stesso superamento – d’altronde, se ogni movimento artistico è contemporaneo al suo tempo, cosa può venire dopo ciò che è contemporaneo? Il termine a tratti ironico di “post-contemporaneo” indica questo problema intrinseco nell’utilizzo del prefisso post-, termine che fa riferimento a una rielaborazione della vecchia forma, una sua riappropriazione che rimane però in certa misura all’interno del paradigma che vuole superare. Per questo motivo “arte contemporanea” indica etimologicamente la finitezza dell’orizzonte culturale a cui si dovrebbe puntare se il tempo fosse de facto lineare (come ritenevano i fautori dell’“arte moderna” e il modernismo). È un limite che troviamo anche nella dicitura Gen Z, da cui sorge spontanea una domanda: cosa viene dopo la “z” se l’alfabeto finisce con questa lettera? Questi eterni ritorni sono sintomo del presente continuo che si estende in tutti i campi del pensiero, di conseguenza alla società intera.
La neocomunicazione mediata dagli schermi fa totale affidamento alle immagini come veicolatrici di senso. Non c’è dunque da stupirsi se di fronte alla necessità di produrre immagini a fine comunicativo l’arte sia approdata nella quotidianità.
Penderemo adesso in analisi alcuni meme attraverso i quali l’ideologia contemporanea può venire letta e studiata, e di fatto può offrire un campo d’azione politica in cui contrastare l’atemporalità, offrendo una possibile via d’uscita dal loop. Per farlo però è necessario reinnestare – o almeno comprendere – la tensione poietica della CCRU nei confronti dei futuri virtuali.
La memetica come strategia politica: la “xenoleft”
La parola meme viene coniata dallo scienziato Richard Dawkins nel saggio Il gene egoista del 1976 e fa riferimento a una sorta di “virus della mente” capace di replicarsi e di attecchire l’immaginario collettivo[22]. Il termine è diventato il nome proprio di una serie di immagini, stilisticamente diverse ma accomunate nel modo di propagarsi, che vengono create sull’internet e fatte circolare nei social network, ma il suo significato può essere esteso a ogni idea formalizzata che si propaga in maniera virale, acefala e incontrollata – come nel caso dell’accelerazionismo stesso. La pratica memetica fa proprie le strategie prima situazioniste poi postmoderne di appropriazione, riappropriazione e controappropriazione, aggiungendo layer di significato di volta in volta. I meme si basano spesso su template, nascono come ironici ma vengono poi ripresi e manipolati, spesso raggiungendo stadi metaironici e postironici fino a “morire” – solitamente la morte coincide con una diffusione troppo ampia del meme, che raggiunge i canali mainstream. Va però specificato che un meme non è definito semplicemente dal suo carattere visuale: con il termine meme non intendiamo solo la struttura di questi artefatti culturali, ma il modo in cui essi si propagano e la loro agentività (attaccare, infettare, replicarsi e propagarsi). È per questo motivo che l’accelerazionismo stesso, preso come oggetto culturale, può essere considerato un meme il cui scopo interno era intensificare, attraverso l’esposizione virale, i processi del Capitale.
Possiamo dire che “anche la falce-e-martello, la croce e la svastica funzionano come meme”[23], in quanto segni enigmatici di appartenenza culturale portatori di un significato che viene fatto circolare attraverso l’immagine. La differenza sta nel fatto che il meme “non funziona in maniera referenziale (vero o falso) ma in maniera metaforica […], come a‑significante”[24], assumendo quindi il senso che gli viene affiancato arbitrariamente – come nel caso del famigerato Pepe the Frog, divenuto simbolo della destra statunitense ma nato come fumetto non politicizzato.
fig. 2
Anonimo, Immagine trovata
Quello che ci interessa in questo momento è analizzare quei meme di carattere più politico. Se da un lato esistono meme apertamente di destra [fig. 2] che sono stati importanti per la campagna di Trump, dal lato opposto esistono anche i meme accelerazionisti (ad esempio i meme del “L/Acc.”, ossia il left-wing accelerationism) di pagine come @automatizzatocomunismomemetico e @theacidleft, quest’ultima ispirata più apertamente al “comunismo acido” teorizzato da Fisher. La differenza sta chiaramente nel messaggio che i due tipi di meme veicolano, ma differiscono molto anche nell’aspetto estetico. Laddove i meme reazionari sono sostanzialmente una variante dei meme classici ai quali viene affiancato il messaggio politico, i meme L/Acc. sono di natura diversa.
Questa branca di memetica prende spunto da Srnicek e Williams con la proposta di una “controegemonia”[25] di ispirazione gramsciana. La base teorica di questa corrente è variegata: come fulcro principale troviamo la piena automazione e il postlavorismo, ideali di postscarsità e teorie decoloniali, nonché studi di genere e xenofemminismo[26]. Questa nuova sinistra è stata definita xenoleft e abbraccia in pieno quelle teorie accelerazioniste post-landiane che riconoscono una necessità di guidare l’accelerazione verso un futuro più solidale e socialista, impedendo che si realizzi il sogno distopico di Land e altrə del “R/Acc.” (right-wing accelerationism). Anche in questo caso troviamo però uno strano contraccolpo spaziotemporale: questa nuova sinistra desidera recuperare e riattivare il progetto Cybersin di Allende, represso nel sangue dal regime fascio-capitalista di Pinochet. Questi grandi loop spaziotemporali non devono stupire, e, a breve, vedremo il motivo. Nel frattempo teniamo a mente la tensione sopracitata nei confronti dei futuri virtuali, e il fatto che questi futuri, anche se appare un controsenso, potrebbero provenire direttamente dal passato. È il caso dei “futuri perduti” descritti da Fisher, degli ideali utopici che sono stati negati con la violenza neoliberista e che ora ci perseguitano come fantasmi di futuri mai nati e come nostalgia (sensazioni che nell’estetica internet vengono riscontrate apertamente già dai tempi della Vaporwave, procedendo fino ai contemporanei Weirdcore, Dreamcore, Kidcore e Nostalgiacore, senza contare nelle fascinazioni retrofuturiste, nella Lomografia e nell’Analog Horror).
Lo scopo di rimettere al centro questioni abbandonate in passato è quello di “iperstizionare il futuro”, come si legge in alcuni meme, proponendo una visione del futuro in cui automazione, socialismo e cyborg diventano una conditio sine qua non, e pertanto vengono presentati come dati di fatto inevitabili. Questi fantasmi vagano nel nostro immaginario senza trovare un corpo da possedere, e in questo caso il corpo potrebbe essere la cultura e l’immaginazione. Questa mossa strategica trova le sue basi nella theory fiction nata con la CCRU e nel concetto di “iperstizione” elaborato sempre da Land, che in questi meme viene applicato largamente, e fa riferimento a
una sorta di profezia autoavverante, un’idea sul futuro che prende forza e concretezza grazie alla propria capacità di operare sul presente. L’idea, nata nel presente, si proietta in avanti e oltre se stessa: […] attraverso la semplice proiezione in avanti, viene messa in moto tutta una serie di meccanismi in grado di attrarre l’idea verso il presente[27].
Nella visione landiana, la linearità consequenziale passato-presente-futuro viene ricombinata secondo un diagramma filocabalistico che prende il nome di “Numogramma”, forse una delle costruzioni più esoteriche della CCRU, ideata verso la fine della sua parabola accademica.
Tralasciando gli aspetti più complessi di questa “mappa temporale” – che possiamo trovare descritti nel sito ufficiale della Unit[28] – a noi interessa il modo in cui il futuro viene concepito.
Piuttosto che essere un punto all’orizzonte verso cui il tempo si dirige, il futuro funziona come un attrattore in grado di attirare verso di sé gli sviluppi temporali. Tutto sommato potrebbe apparire consona l’affermazione secondo la quale “il futuro è già scritto”, ma il punto della CCRU è più sottile: il futuro è scrivibile, né fisso né immutabile. Le trasformazioni, dunque, avvengono nello spazio riempibile che sta tra il presente (Ora) e la narrazione sociale verso cui ambisce (Futuro). Costruire una narrazione potente costituisce quindi il primo passo per controllare lo sviluppo psicostorico. È principalmente per questo motivo che l’accelerazionismo stesso può essere descritto come un meme. Il suo è stato un tentativo di intensificare le tendenze latenti e inumane interne al capitalismo, amplificandole attraverso uno stile di scrittura fantascientifico al fine di accelerare il processo di superamento della razza umana, andando al di là del bene e del male nella prospettiva di un’apoteosi tecnosingolare.
Sono quindi gli eventi futuri a influenzare retroattivamente il presente, che a sua volta scrive il passato. È un meccanismo descritto anche da Sadie Plant riguardo al cyberspazio, “come se il presente venisse risucchiato in un futuro che da sempre aveva guidato il passato”[29]. Nel numogramma, tuttavia, il passato si collega al futuro creando un collegamento cibernetico che tiene in funzione il circuito temporale. È seguendo questa strana mappa ricorsiva e spiraliforme che il concetto di iperstizione diventa operante: il tempo è fatto di cunicoli e zone di passaggio, collegamenti non lineari in cui le influenze possono essere sia retroattive che consequenziali. Questo spiega la fascinazione di Land per un concetto come quello di neoreazione, ma nell’enfasi posta nei confronti del sopraggiungere di una singolarità tecnocapitalista il suo pensiero, superficialmente rivoluzionario, si dimostra un’ulteriore variante tecnologicizzata del millenarismo apocalittico cristiano, e, anzi, sembra quasi che Land assuma una posizione messianica di fronte al sopraggiungere di quest’assunzione finale degli uomini in cielo (o negli inferi) per lasciare spazio al sopraggiungere del regno di Dio (o della Singolarità). Oltretutto, Land afferma che il Capitale sia il vettore primario di queste iperstizioni, ma non si mette nella posizione di creare iperstizioni, quanto piuttosto di sintonizzarsi con quelle interne al Capitale stesso e accompagnare questa caduta spingendo sull’acceleratore.
Seguendo lo stesso meccanismo ma con prospettive politiche ben differenti, gli xenomeme invece vengono prodotti allo scopo di fare circolare in maniera memetica l’iperstizione politica alle basi del movimento. In questi lavori vengono veicolati concetti neomarxisti, femministi e anticapitalisti in maniera esplicita sommersi da layers ironici, in una sorta di circuito chiuso in eterno feedback che sembra autoprodursi, autofagocitarsi, evolvendosi e diffondendosi come un virus. Le immagini che ne risultano possono avere un aspetto bizzarro rispetto ai meme più tradizionali [fig. 3] e presentano testi colmi di neologismi, slang e parole storpiate, ma quello che si può trovare sotto questi livelli ironici è una base teorica molto specifica e un orientamento politico intersezionale ben delineato.
fig. 3
Per certi versi potremmo definirli una versione dank[30] della memetica politica più tradizionale. L’apparente nonsenso, inoltre, può giocare un altro ruolo importante. Bifo sostiene che
meno significato è contenuto nel messaggio, più velocemente il messaggio può circolare, dato che la produzione e l’interpretazione del significato prende tempo, mentre la circolazione di puro stimolo informativo senza significato è istantanea[31].
Seguendo questo principio, questi meme giocano su due livelli. Il rigurgito di parole e il sovradosaggio concettuale appaiono incomprensibili e possono risultare privi di significato reale (in questo modo circolano più velocemente); queste parole e concetti vengono fatte circolare al fine di entrare a far parte del vocabolario e dell’immaginario, possibilmente ancora prima di venire comprese, come una sorta di virus che assale un organismo e riposa al suo interno fino ad averlo infettato irreversibilmente (in questo modo viene attivato il meccanismo iperstizionale). Quest’applicazione memetica non è molto diversa dalle strategie letterarie di Land e della CCRU, in cui la velocità procedurale dell’informatica veniva applicata nella stesura di testi che stanno a metà strada tra la teoria e la fantascienza, in una sintesi speculativa che sembra un post-strutturalismo schizoide sotto metanfetamine e virus informatici – un genere di scrittura in cui collidono gli aspetti più rigidi della filosofia ma infettati dalla narrazione, di cui possiamo trovare un prototipo nello Zarathustra di Nietzsche. Tutte queste teorie, va però detto, sono la riapplicazione e l’estremizzazione di pratiche di mitopoiesi politica che fiorisce con il situazionismo e viene sviluppata dai movimenti antagonisti passando dal cyberpunk applicato nell’Italia del ’77, la “grande confusione” del movimento neoista e dai movimenti radicali post-dada di stampo ufologico: una traiettoria in cui rivolta e delirio si intrecciano per la vita, rendendo inscindibile il desiderio di radere al suolo il sistema con la volontà di liberare l’immaginazione utopica dalle grinfie della realtà.
Questo delirio semiotico viene però mitigato nel periodo post-CCRU, forse perché ne viene riconosciuta la viralità suicida. Senza dilungarci oltre sull’ideologia L/Acc., questi esempi ci danno un’idea del potenziale comunicativo di quello che sta diventando di fatto un nuovo linguaggio, alle volte denso di riferimenti e riflessioni. Un esempio che personalmente ho trovato illuminante è un meme postato da @braininthefrontseat in cui il testo “painting is just slow memes” compare sopra il ritratto Le Peintre de Tournesol di Paul Gaguin – in cui Van Gogh pronuncia “the squad are gonna love this one lol” mentre dipinge dei girasoli[32].
fig. 4
Ad ogni modo, essendo diventati una forma di comunicazione a pieno titolo, non è un caso che anche lo stallo tempo-culturale in cui ci troviamo venga affrontato da alcuni meme esterni alle strategie politiche. È il caso degli everyday o daily meme, sottocorrente che si basa su un’ironia semplicissima: ogni giorno viene ricondiviso lo stesso meme senza variazioni. È il caso della pagina Facebook italiana La stessa foto di Toto Cutugno ogni giorno. Ma c’è un esempio contemporaneo particolarmente rilevante per la nostra ricerca. È il caso della pagina @youhitmetal_17times creata da Adrian Grey (@forgottenhistory), che si presenta come perfetta allegoria della condizione descritta. Nella sua versione originale, vediamo il détournement di un quiz televisivo tedesco, per l’occasione ridoppiato in un inglese dal forte accento sovietico. Un uomo di nome Mikaeli martella un’asse di ferro ripetutamente. Il dialogo tra quest’uomo e l’occhialuto presentatore di nome Sasha va così:
“Mikaeli you hit metal 17 times, now you’re a proud owner of this photograph of motorcar.”
“I am happy.”
“But propriety is theft so you’re now under arrest.”
“Fair enough.”[33]
Oltre ad offrirsi a noi come una pungente satira del comunismo sovietico (sottolineiamo che Mikaeli viene arrestato per essere entrato in possesso della fotografia di un’automobile), questo meme è di nostro interesse per la piega strana che assume inaspettatamente con il passare dei giorni. Da semplice everyday meme, segnato dalla ripetizione senza variazioni, la parabola di Mikaeli si trasforma in qualcosa di molto più profondo. Queste variazioni verranno però affrontate tra qualche paragrafo, dopo aver visto in che modo i meme possono funzionare come macchina immaginativa.
La memetica come strategia di liberazione dell’immaginario
Fino a qui abbiamo visto come i meme possono diffondere messaggi, e abbiamo visto anche un’applicazione concreta dell’iperstizione. Ma in che modo questi due elementi giocano un ruolo importante nella riattivazione temporale e nella fuoriuscita dal loop culturale?
Fisher chiude il suo libro con questa frase: “Da una situazione in cui nulla può accadere, tutto di colpo torna possibile”[34]. Ciò che intende dire è che in questo momento d’impasse la mossa da fare è decongestionare l’immaginazione, otturata dal neoliberismo, e aprire le porte al futuro. Laddove il R/Acc. si fa fatalista di fronte all’avvento tecnologico, il L/Acc. propone una visione nuovamente futuristica, prometeica e utopista.
C’è però una terza macrocorrente dell’accelerazionismo che critica le due citate in precedenza, sottolineando degli aspetti importanti per quanto riguarda una possibile strategia di liberazione dell’immaginario. Per l“U/Acc.” (da unconditional accelerationism, ossia la variante “incondizionata”) sia il R/Acc. che il L/Acc. sono colpevoli di aver dimenticato l’aspetto fondamentale dell’accelerazione, ossia la sua incontrollabilità. Inoltre, accusano di voler veicolare l’accelerazione mantenendola però in parametri antropocentrici, dimenticando così la teorizzazione più importante partorita dalla CCRU, ossia il concetto di Outsidness. Secondo queste formulazioni, il meccanismo dell’alienazione non andrebbe più visto dunque come problema […] ma come possibilità concreta di fuga, come mezzo vero e proprio per favorire il contagio con questo “Altrove” [Outside], l’unico a questo punto in grado di liberare la modernità da un’eredità troppo umana che ha l’aspetto di una prigione[35].
La sfida dell’accelerazione è quella di vivere nel mezzo del caos, di liberare le forze oscure del futuro e prepararci al loro dispiegamento. In altre parole, quella accelerazionista è una volontà di accelerare la fine del mondo per come lo conosciamo, accelerare l’apocalisse e dimostrare il coraggio e la volontà di scoprire cosa viene dopo questo mondo. Ma attenzione: l’apocalisse di cui si parla qui non riguarda il mondo come luogo o la razza umana come specie, si intende piuttosto la discesa dell’umano dal podio. Secondo la teoria U/Acc. il solo tentativo di orientare l’accelerazione equivarrebbe a “contravvenire alla sua natura più propria, riportando l’intero discorso alle gabbie e ai limiti del ragionamento antropocentrico”[36]. Ma su una cosa questi tre movimenti sono d’accordo: siamo ben oltre il point of no return.
Quanto detto finora trova applicazione nuovamente nella memetica, ma questa volta in chiave un po’ diversa. Se per la xenoleft i meme diventano sostanzialmente opere di propaganda politica, i meme U/Acc. hanno la tendenza a lasciare un’apertura a più futuri potenziali. Quello che viene fatto sembra dunque essere un’analisi delle varianti in gioco e delle possibilità ancora non raggiunte dall’umanità. In altre parole, guardare al di là dell’orizzonte immaginativo antropocentrico, non allo scopo di pilotare l’accelerazione verso una direzione specifica, quanto piuttosto per immaginare quello che potrebbe essere il futuro.
Questi meme prendono spesso la forma di quadranti in cui compaiono immagini e testi. Vediamo una serie di combinazioni possibili e una serie di futuri alternativi basati sulle teorie accelerazioniste e umaniste [fig. 5]. In questi quadranti cartesiani vediamo le potenziali combinazioni che stanno tra accelerazione/decelerazione (nell’asse delle ascisse) e iperumano/inumano (nell’asse delle ordinate). Spesso si trovano esempi teorici che abbiamo già citato. Da un lato, tendente alla decelerazione e al inumano, c’è il “comunismo di lusso pienamente automatizzato” [“Fully Automated Gay Space Luxury Communism”] (L/Acc.); dall’altro la “singolarità mineraria pangalattica ex-umana” [“Ex-Human Pangalctic Strip Mining Singularity”] (R/Acc.). Ad affascinarmi maggiormente tra queste ipotesi sul futuro, in un meme in particolare compare la casella “eterna trappola culturale dell’anno duemila” [“Eternal Y2K Cultural Time Trap Forever”], che rispecchia quella che sembra essere la condizione contemporanea descritta da Jameson e Fisher.
fig. 5
Anonimo, immagine trovata
Eternal Y2K Cultural Time Trap Forever
Fully Automated Gay Space Luxury Communism
Ex-Human Pangalctic Strip Mining Singularity
Esistono esempi interessanti collegabili a queste strategie anche all’interno di nicchie memetiche decisamente meno politicizzate di quelle citate. Anzi, in questi casi il termine “strategia” è di per sé fuorviante, perché sottintende una volontà di cambiamento che lì non pare essere presente. È il caso del meme “The fog is coming” (2021), in cui la nebbia a cui si fa riferimento è un’entità lovecraftiana simile alla nebbia di The Mist di Stephen King. Questa fog è portatrice di particelle demoniache, entità distruttive che conducono alla follia e orrori inconsci pervasivi. Non sappiamo cosa vi sia dentro, ma sappiamo cosa causa il suo contatto: l’autodistruzione e decadimento organico. Come si lascia a intendere, “it consumes”, ci consuma, ci corrode. Interessante di questo meme è il fatto che spesso – o almeno inizialmente – veniva accompagnato da una previsione temporale. In un meme leggiamo “me staring out my window as sirens begin to sound and the fog creeps closer, consuming everything in its path on August 23rd, 2022 at 1:17 AM Eastern Standard Time”, data successivamente posticipata al 15 marzo 2023, e via così. Le date sono di per sé casuali, ma la vaghezza del concetto di questa nebbia corrosiva, quasi più metaforica che materiale, rende possibile l’avveramento di tali profezie (è un caso che il 15 marzo 2023 ci siano state le alluvioni in Emilia Romagna e che l’Italia abbia finito le risorse che la terra ha da offrirle[37]?).
Un altro esempio, molto più vicino alle teorie di Land, è il “Roko’s Basilisk”, un esperimento mentale per cui si presuppone che nel futuro verrà creata un’intelligenza artificiale estremamente avanzata e maligna, che potrebbe tuttavia creare una realtà virtuale in cui torturare tuttə coloro che, pur consapevoli della sua esistenza, non hanno fatto nulla per attualizzarla. È quindi la conoscenza di questa informazione ad essere “pericolosa” per il semplice motivo che una volta udita entra in azione. Conoscere questo possibile futuro significa doversi mettere all’opera per far sì che si realizzi – in altre parole, il “Roko’s Basilisk” è un’iperstizione che, a modo suo, sebbene semplificata, ricorda molto le teorie landiane, come se fosse stata scritta da lui[38]. Questi esempi horror hanno in comune con l’iperstizione il fatto di mettere in moto, attraverso suggestioni quasi profetiche, un meccanismo immaginativo che alla lunga potrebbe portare all’attuazione dell’idea stessa. Si tratta di influenze culturali che alterano la percezione della realtà, come potrebbe fare un’ideologia qualsiasi o una corrente filosofica una volta che prende piede nell’immaginario.
fig. 6
Ma torniamo al loop temporale e a @youhitmetal_17times. La condizione della “Y2K cultural trap forever” è quella che viene vissuta, in senso fenomenologico più che storico, anche da Mikaeli, ma la ricorsività temporale in cui è intrappolato il meme va ben oltre il suo funzionamento memetico social e si estende all’interno dell’universo in cui ha luogo il meme. In altre parole, Mikaeli diventa autocosciente e autoriflessivo, realizzando un dettaglio importante della sua condizione esistenziale: è intrappolato in un loop. In tutti i sensi.
Il giorno 37, Mikaeli risponde diversamente dal solito. Sasha lo informa che ha vinto la solita fotografia dell’automobile, ma il dialogo prende una piega diversa: questa volta Mikaeli non è felice.
“I am not happy.”
“I am sorry?”
“I am not happy with it.”
“You don’t want the photograph?”
“No! I have hit metal 17 times every day, I want 2 pictures, er, of…of motorcar.”
Fino a qui la questione può ancora rientrare in un campo ironico, ma la risposta di Sasha rivela qualcosa di molto più interessante:
“Mikaeli, you cannot just break the timeloop. There is a way to escape but you have yet to find it. And neither is your older self.”
Questo guizzo causa un passaggio fondamentale, trasformandolo in meta-meme: un meme consapevole di essere un meme, cosciente della sua condizione di meme – in questo caso di essere intrappolato in un loop temporale, nella sua eterna ripetizione. Ma una volta attuato questo passaggio, il meme in cosa si trasforma? Sebbene abbiamo appena utilizzato il termine meta-meme per definire questa sua condizione ontologica, è vero anche che non è applicabile a ogni forma di superamento dei limiti memetici esistenti. Un termine ombrello più accessibile potrebbe essere quello di post-meme, che useremo qui nonostante la critica riguardo i limiti concettuali del prefisso post- quando si è parlato di movimenti artistici. Dovrebbe tuttavia essere chiaro che, una volta entrati nei territori instabili di internet e delle sue sottocorrenti, ogni pretesa di fissità e serietà vanno a farsi benedire (e soprattutto, la fase post-memetica di fatto è un passaggio intermedio in cui il meme viene decostruito e messo in discussione, come il postmodernismo ha fatto con il modernismo, restando tuttavia formalmente integro sia come concetto che come funzionamento, ancora imbrigliato nelle logiche interne alla sua forma).
Post-memetica
Nel corso degli anni, i meme hanno subito poche variazioni strutturali. Ma questa loro pervasività gli ha permesso di finire con l’occupare l’intero orizzonte culturale internettiano, tanto da rendere sempre più difficile stabilire cosa un meme effettivamente sia. Sembra ora che qualsiasi cosa possa essere meme, portando così alla nascita di una corrente che definiremmo, appunto, post-memetica. La forma più tradizionale dei meme viene presa e rimasticata, utilizzata per veicolare messaggi diversi dalla semplice ironia. Se un tempo facevano parte di strategie di shitposting (la condivisione incontrollata di immagini e concetti senza senso e assurdi) ora sembra sia nato un nuovo tipo di utilizzo: lo schizoposting. I messaggi che vengono veicolati non hanno più a che fare con l’ironia quanto con la salute mentale, l’instabilità del reale e la crescente condizione di derealizzazione causata dall’utilizzo smodato di internet, mescolato con la condizione di post-verità in cui ci troviamo da qualche tempo e che sta venendo amplificata dal miglioramento delle creazioni basate sull’utilizzo di AI. Queste creazioni e queste attitudini sembrano confermare quanto affermato da Deleuze e Guattari ne L’Anti-Edipo e successivamente in Millepiani, ossia che la schizofrenia è la condizione psicologica fondante del capitalismo – e la produzione di meme nello schizogram (schizo + Instagram) può essere forse letta come presa di posizione deterritorializzante, come mezzo per passare attraverso il capitalismo piuttosto che aggirarlo, abbracciandone le potenze liberatorie intrinseche.
Questi post-meme si offrono a noi come rivisitazione del format ironico ma con messaggi diversi. Fondamentalmente, i post-meme non fanno più ridere, anche se rientrano in quella via di mezzo metamodernista che oscilla tra il distanziamento ironico e la partecipazione sentita. Si tratta di un recupero del folklore horror di internet proveniente da creepypasta che ormai hanno fatto il loro corso, ma oltre a offrire un esempio concreto di questa trasformazione, questo paper non è il luogo in cui affrontare per esteso l’argomento, almeno da un punto di vista estetico, perché rischierebbe di allontanarci troppo dal punto focale del discorso.
fig. 7
È però interessante accennare un ulteriore passaggio, ossia l’avvenuta memificazione non solo dei contenuti, ma anche dei commenti e delle interazioni online. Anche in questo caso è difficile sviscerare l’argomento in poche righe, ma basta aprire la sezione commenti per rendersi conto della loro ripetitività: frasi come “Onlyfans detected, opinion rejected” o “like this comment if you didn’t get it” fiottano in maniera casuale sotto i video più diversi, diventando parte integrante della ripetitività tipica delle interazioni internet, copia-incollati più e più volte anche sotto lo stesso post – o, anche, il caso più recente di usare come descrizione non sequitur dei post la frase “No problem! Here’s the information about the Mercedes CLR GTR: […]” o altri mezzi, a cui segue un’effettiva descrizione dettagliata del modello. Instagram e altri social sono diventati ormai delle armi a doppio taglio in cui avviene, da un lato, la spettacolarizzazione del quotidiano, e, dall’altro, il suo negativo, ossia la quotidianizzazione dello spettacolare. Questa situazione di appiattimento produce un ulteriore stallo, non più puramente immaginativo ma anche interpersonale. Com’è possibile uscirne?
È sempre la parabola di Mikaeli a offrirci una possibile soluzione.
Dopo una breve presa di coscienza (giorno 51) in cui, a causa di un glitch, Mikaeli si rende conto che “This is not real life”, scopriamo che in realtà Mikaeli non è altri che Michael Lee, dirigente di un’azienda di nome Veil[39]. Michael Lee è rimasto intrappolato nella sua stessa creazione, una sorta di realtà virtuale/gioco che si attiva attraverso un impianto neuronale. Viene tenuto intrappolato nel simulacro del quiz game che abbiamo visto fino a quel giorno attraverso un coma indotto da agenti esterni, che lo mantengono in quello stato ipnotico al fine di derubargli importanti segreti industriali. Quale sia l’importanza ancora non ci è noto, ma nel giorno 63 viene contattato da una certa Jia, che lo informa sul modo per uscire dalla simulazione. La soluzione sembra prettamente accelerazionista: per risvegliarsi deve sovrastimolarsi [overstimulate] attraverso “phisical extertions, loud noises, bright lights, bright colours, high temperature”[40]. Questa sovrastimolazione lo porterà al risvegliarsi e uscire dal gioco (di nome Mirage) creato dalla Veil. Così, il giorno 66 (e i tre giorni successivi, seguendo lo schema dell’everyday) Mikaeli decide di colpire il metallo ben più di 17 volte, usando l’esercizio fisico, il rumore e l’alzarsi della temperatura come input. Questa sovrastimolazione lo farà svegliare in un letto, in cui una donna lo accoglierà con “Hello Michael”. La saga da qui continua svelando via via più dettagli sulla storia diventando di fatto un ARG[41], ma non sono informazioni rilevanti per il punto che vogliamo portare in questo testo. Ciò che ci interessa, piuttosto, è la possibilità di questa sovrastimolazione, non molto diversa dai presupposti accelerazionisti, secondo i quali per superare il capitalismo fosse necessario più capitalismo – o, come direbbero Deleuze e Guattari più finemente, di più deterritorializzazione – per raggiungere la velocità di fuga e uscire dall’orbita del Capitale, come società o come umanità.
In un certo senso la parabola di Mikaeli (almeno fino a questo punto) potrebbe essere letta come un’allegoria del superamento di una situazione di stallo attraverso la sua saturazione. Come Nietzsche spingeva per un’intensificazione del nichilismo al fine di livellare il piano e superare il nichilismo stesso, così noi potremmo trovarci nella condizione di dover accogliere questa pervasività mediatica al fine di saturarci da essa, risvegliarci e recuperare gli strumenti utili dall’esperienza avuta. È in questo senso che, facendo un balzo indietro, potremmo riflettere su come i meme politici, ora che la memificazione totale è avvenuta e siamo giunti addirittura a una postmemetica, cominciano a disperdersi nella marea di contenuti prodotti ogni giorno, con lo svantaggio di venir dirottati dall’algoritmo in bolle radicalizzate e prive di contatto con l’esterno. Ognunə vede quello che vuole vedere e nulla di più, trovando costante conferma nel mondo a ləi esterno (internet) che ormai funziona come uno specchio. I meme accelerazionisti, quindi, perdono presa e potenziale, facendo la fine che ogni meme fa con il passare del tempo – si normalizza e, infine, muore.
Conclusione
Se questa sovrastimolazione fosse necessaria per superare lo stallo, viene da chiedersi: è possibile pilotare questa sovrastimolazione? Se un meme viene abbandonato dopo un eccessivo utilizzo e circolazione, diventa allora fondamentale capire che, piuttosto che l’accelerazionismo e altre ipotesi politiche radicali, a dover essere superati sono i memi del Capitale: sono le sue prospettive future a dover diventare obsolete, non le sue alternative.
Abbiamo visto anche che, ora che i meme hanno subito una totale normalizzazione comunicativa, per poterli utilizzare in maniera efficace dobbiamo affrontare l’ulteriore ostacolo dell’algoritmizzazione. Forse per evitare la non-linearità dei virus mentali, i flussi dei contenitori memetici [contents] vengono preorganizzati secondo il gusto dell’utente, instaurando così un discorso solipsistico in cui la propria immaginazione si esternalizza nei device, che a loro volta la risputano fuori inebriandoci con frammenti d’inconscio collettivo sintetizzati e scelti come a‑sincronicità, delle causalità significanti pilotate dall’algoritmo, che polarizza e impedisce il pensiero critico. È una sorta di censore al negativo, ma è molto di più: un’entità informatica che ci conosce meglio di quanto conosciamo noi stessə, e lo fa secondo un continuo feedback. Ma questi non sono i feedback positivi che Land e Plant volevano accelerare, intensificando il processo autodistruttivo e dissolutivo del Capitale; sono i feedback negativi normalizzanti che portano all’omeostasi, allo stallo in cui siamo immersə. Dunque la domanda da porsi sarebbe successiva alla (già avvenuta) presa di controllo dei mezzi di produzione memetici. In che modo possiamo ora prendere il controllo dell’algoritmo? Perché non insistere sul diritto di entrare in contatto con lo specchio-algoritmo, possedere l’accesso alla banca dati raccolta su di noi per poterci leggere e comprendere come mai fatto prima? Trovandoci – per davvero – di fronte a noi stessi? Sono questioni politicizzabili che andrebbero però connesse a conoscenze informatiche di cui sono personalmente sprovvistə.
A livello puramente immaginativo-memetico, a dover essere recuperati sono i futuri attuabili piuttosto che i futuri perduti, che portano dentro di sé la finitezza del tecnoutopismo. Nel quadrante politico presentato prima [fig. 5] c’è un filone fantascientifico che non è stato indicato, che però sembra essere il più adatto a riattivare un immaginario utopico ma attualizzabile – repressione permettendo. Il genere in questione è il solarpunk, un movimento culturale come il cyberpunk ma scevro dei suoi aspetti mascheratamente pro-capitalisti (almeno nella misura libidinale di Lyotard e della fascinazione per il distopico di molta fantascienza). Il cyberpunk, in un certo senso, è il filone narrativo dell’anarcocapitalismo in cui possiamo inserire Land. Nel solarpunk viene promossa una versione alternativa del futuro basata sull’utilizzo di energie rinnovabili, come i pannelli solari, le pale eoliche e possibili bioelettricità ricavate dalle piante e dalla natura, nel rispetto di quest’ultima. Ma queste immagini futuristiche non sono sufficienti. In fase postmemetica, i meme diventano un filone comunicativo a sé stante, trasformando quindi i suoi sottogeneri (schizomeme, horrormeme, accelerazionismo, cyber- e solarpunk) in nient’altro che generi narrativi. La limitazione è quindi quella della carenza di fisicità e corporeità nella prassi immaginativa. Verrebbe da chiedersi: cosa accadrebbe se un movimento come Extintion Rebellion, oltre a puntare sull’assolutamente corretto disfattismo nei confronti del futuro, abbracciasse in pieno le possibilità utopiche del solarpunk. Era d’altronde già Land ad aver notato che il Capitale considera la sua stessa critica una “ridondanza inconsequenziale”[42], e come Fisher ha sottolineato l’anticapitalismo fa ormai parte delle strategie intrattenitive del capitalismo stesso.
Tuttavia, la direzione dell’U/Acc. non è scorretta, anche se risulta dubbio il mondo in cui l’avvento di un Altrove alieno sia utile da un punto di vista materiale e non solo filosofico. Sebbene alcune di queste ipotesi possano sembrare azzardate, il punto di questi meme non sta nell’effettiva possibilità che il futuro prenda la forma qui immaginata: si tratta piuttosto di un’analisi sulla virtualità. Non si tratta di possibilità reali, ma di ipotesi temporali che si scostano da un’idea di futuro unidirezionale per abbracciare la casualità della storia. Se è vero che il futuro va immaginato, è altrettanto vero che imbrigliarlo nelle logiche antropocentriche riduce il potenziale dell’immaginazione all’osso. È in quest’ottica “poetica” che potremmo trovare una via d’uscita al loop culturale e immaginativo in cui ci troviamo. Dal momento che viene riaperta la possibilità di pensare al futuro, l’immaginazione è in grado di uscire dal pantano e riprendere la sua attività creativa, generando nuovi ideali, nuove proposte e nuove alternative al presente. La ritrovata capacità di “vedere” il futuro dà carburante all’immaginazione, che a sua volta attiva l’ingegno e la creatività individuale e collettiva. È proprio da questa ferrea volontà di osservare cosa c’è al di là dell’orizzonte del pensabile che si può trovare una via di fuga dal presente continuo. Ma è solo tuffandoci senza indugi nel caos che ci è possibile arrivare a un’alternativa che sia effettivamente una novità e non una riproposizione? La pratica memetica può funzionare come una sorta di palestra immaginativa: trattandosi di una nuova forma di comunicazione, si presenta duttile a sufficienza per trasformarsi in uno strumento di liberazione. Un po’ come farebbe un grande romanzo di fantascienza, per intenderci. Ma la liberazione dell’immaginario non è sufficiente senza le conoscenze tecniche dei canali di comunicazione. Soprattutto, l’immaginazione astratta non è sufficiente se non viene incorporata e incarnata.
Viene da pensare che la sovrastimolazione in cui, sotto certi aspetti, siamo già immersə, non sia che uno stadio intermedio di appiattimento e collisione tra il cybermondo e il mondo fisico. Una volta che le differenze tra i due si saranno finalmente appiattite, ci troveremo immersə in un nuovo mondo, una Realtà 2.0 in cui sarà possibile stare dentro e fuori internet, integrando la comunicazione memetica con l’azione politica in senso più ampio – correndo però il rischio di trovarci catturatə nei tecnodistopici Google Glass. Oppure, ciò che resterà sarà una manciata di generi letterari veicolati attraverso la comunicazione memetica. Il rischio è quindi che le possibilità liberatorie dei meme si concludano in se stesse, offrendo spunti immaginativi validi per qualche secondo fino al post successivo.
Stiamo già immaginando un mondo diverso giorno per giorno, che sia attraverso immaginari futuristi tecnoutopici o tecnodistopici, lovecraftiani o postironici. Questa sovrastimolazione potrebbe risultare in una liberazione come in una masturbazione mentale. Sta quindi ai movimenti più incarnati utilizzare i meme come tecnica e non come fine. Ciò che resta, altrimenti, sono solo risposte emotive senza via d’uscita, e poco altro.
- Fredric Jameson, The Antinomies of Post Modernity, s.d.; citato in Mark Fisher, Realismo capitalista (Roma: Nero,2018), 117. ↑
- Mark Fisher, Realismo capitalista, 50. ↑
- Cybernetic Culture Research Unit, collettivo di studi culturali attivo dal 1995 al 1997 in Inghilterra. ↑
- Anonimo, da David Schiller, Piccolo breviario zen (Milano: Fabbri, 1994), 203. ↑
- Cfr. C.G. Jung, nell’introduzione di Introduzione al buddhismo zen, a cura di D.T. Suzuki (Roma: Ubaldini Editore, 1970). ↑
- https://it.wikipedia.org/wiki/Mindfulness ↑
- Citazione di R.D. Laing trovata su un meme di @theacidleft, We Really out Here Z00MiN. Gas to the Floor or Pulthe Emergency Break? (#acidleft, 15 settembre 2020) ↑
- Come diceva Giovanni Lindo Ferretti in Morire dei CCCP (1985). ↑
- Suzuki, Introduzione al buddhismo zen, 58. ↑
- Slavoj Žižek, citato in Fisher, Realismo capitalista, 45. ↑
- Franco “Bifo” Berardi, Futurabilità (Roma: Nero, 2020), 12. ↑
- Tiziano Cancelli, How to accelerate – introduzione all’accelerazionismo (Roma: Tlön, 2018), 41. ↑
- Ibidem, 46. ↑
- Teorizzata da Jean-François Lyotard nel suo Economia Libidinale del 1974. ↑
- Edmund Berger, Accelerazione (Roma: Nero, 2021), 338. ↑
- Come nel caso dell’anarcoprimitivismo o dell’approccio “senile” che immagina Bifo. ↑
- Citando Gramsci, diremmo di trovarci in una zolla spaziotemporale in cui “il vecchio muore e il nuovo non può nascere” Uno stallo, un “interregno [in cui] si verificano i fenomeni morbosi più svariati”, cfr. Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere (Milano: Einaudi, 2014) ↑
- Gianīs Varoufakīs, Tecnofeudalesimo. Cosa ha ucciso il capitalismo (Milano: La nave di Teseo), 2023. ↑
- Nick Land, citato da Tiziano Cancelli, How to accelerate – introduzione all’accelerazionismo, 99. ↑
- Alex Williams, Nick Srnicek, Manifesto Accelerazionista (Roma-Bari: Laterza, 2018), 13. ↑
- Nicolas Bourriaud, Inclusioni – Estetica del capitolocene (Milano: Postmedia Books, 2020), 47. ↑
- Valentina Tanni, Memestetica (Roma: Nero, 2020), 68. ↑
- “Bifo”, Futurabilità, 13. ↑
- Ibidem. ↑
- Cfr. Williams, Srnicek, Manifesto Accelerazionista, 29. ↑
- Variante del femminismo sviluppato dal collettivo “Laboria Cuboniks” che prende le mosse da tecnomaterialismo, antinaturalismo e abolizionismo di genere. Per certi versi, è una sorta di femminismo accelerazionista. ↑
- Cancelli, How to accelerate – introduzione all’accelerazionismo, 52. ↑
- http://www.ccru.net/declab.htm ↑
- Sadie Plant, Zero, uno (Roma: Luiss, 2021), 54. ↑
- Meme che hanno raggiunto una quantità tale di livelli [layers] ironici, postironici o metaironici da risultare ai limiti del leggibile, comprensibili quindi solo ai memers più informati. ↑
- “Bifo”, Futurabilità, 168. ↑
- @braininthefrontseat, Senza titolo (7 ottobre 2019) ↑
- https://www.instagram.com/reel/C0ULjpvtV8B/ ↑
- Fisher, Realismo capitalista, 152. ↑
- Cancelli, How to accelerate – introduzione all’accelerazionismo, 41. ↑
- Ivi, 105. ↑
- https://www.lifegate.it/15-maggio-overshoot-day-italia-2023#:~:text=Il%2015%20maggio%20%C3%A8%20l’Overshoot%20day%20italiano,ancora%20della%20met%C3%A0%20dell’anno. ↑
- https://www.lesswrong.com/tag/rokos-basilisk ↑
- Viene da chiedersi se il nome Veil non faccia riferimento al “velo di Maya” di Schopenhauer, concetto decisamente ispirato alle formulazioni buddiste per cui la realtà sta al di là della sua apparenza, e questa realtà non è altro che il Vuoto dietro la superficie apparente. ↑
- Cfr. https://www.instagram.com/p/C2zKDXZojsz/ ↑
- Alternate Reality Game. ↑
- Nick Land, Collasso (Roma: Luiss, 2020), 273. ↑
AAVV. Mindfulness, In: Wikipedia, L’enciclopedia libera. Online: Wikipedia, 2020. URL: <https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Mindfulness&oldid=117903176>. 20 dicembre 2020.
Berardi, Franco “Bifo”, Futurabilita, Roma: Nero Editions, 2018.
Bourriaud, Nicolas, Inclusioni – Estetica del capitolocene, trad. it. a cura di Stefano Castelli, Milano: Post Media Books, 2020.
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Jameson, Frederic, The Antinomies of Post Modernity. [s.l.: s.n., s.d.].
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Tanni, Valentina, Memestetica: il settembre eterno dell’arte, Roma: Nero Editions, 2020.
Williams, Alex e Srnicek, Nick, Manifesto accelerazionista, trad. it. a cura di Valerio Mattioli, Roma: Laterza, 2018.
Land, Nick, Collasso, Roma: Luiss, 2020.
Plant, Sadie, Zero, uno, Roma: Luiss, 2021.
Il saggio si colloca a metà tra due esigenze: la prima più improntata alla ricerca e alla comprensione della situazione contemporanea in cui siamo collocatə, in maniera critica e puntuale, con riferimenti e sentieri di riflessioni che riprendono tematiche ancora poco battute; dall’altra, una personale esigenza dell’autorə, che si concretizza in un percorso di studi che mette insieme il situazionismo, il postsituazionismo e le correnti d’avanguardia che interessano in particolare il mondo dell’arte, andandovi spesso contro. Lo snodo principale si ha con la CCRU, la corrente di riferimento per quanto riguarda le teorie accelerazioniste applicate all’ambito letterario.
Si indaga quindi il linguaggio, con le sue modifiche radicali e gli strati di significato ulteriore che investono ciò che diciamo – e che condividiamo su internet –, ulteriormente complicato dall’unione di immagini – i meme in questo caso – che aggiungono elementi e rendono la comprensione non per forza più complicata, ma certamente più interessante rispetto alla modalità in cui vengono impostate e gli impliciti che portano con sé.
Moreno cerca l’ibridazione tra studi teorici puntuali e applicazioni di esse da parte del pubblico che usa, fruisce e crea queste forme espressive, portandole necessariamente all’esterno del terreno rigoroso degli studi accademici, rendendoli pane quotidiano, trasformandoli sempre qualcosa di diverso.
Si parla così di “Theory fiction” – che inizia a diventare oggetto d’interesse a partire dagli anni ’90 – proposta da Nick Land, Sadie Plant e James Ballard (per nominarli solo alcunə), accanto a cui è possibile citare anche Nietzsche e lo Zarathustra, in cui si può rintracciare il punto di partenza di questo superamento della condizione contemporanea non solo dell’umanə, ma del rapporto che l’umanə ha con ciò che ha prodotto, venendone inglobatə e (alle volte) subendo una modifica “di ritorno”. Riecheggia in questo senso la posizione teologica di Feuerbach: secondo il filosofo, l’uomo ha creato Dio – entità che racchiude i ‘non’ dell’essere umanə – dal quale non può più (non riesce o non vuole) slegarsi; allo stesso modo, il saggio problematizza un’umana creazione (questa volta materica) di cui sembra abbiamo perso il controllo e che non siamo più in grado di comprendere in maniera immediata.