Limen Pastiche è una rivista culturale online in continuo divenire, in continuo mutamento, che vuole sfuggire a una definizione univoca, che si diletta a esplorare i confini, toccarli e superarli. Un’officina culturale in cui ci divertiamo a smontare e rimontare i pezzi del reale, in forme nuove, bizzarre e improbabili, con tessere tra loro apparentemente estranee e discordi: disegni, saggi, fotografie, poesie, video, racconti e qualsiasi altra produzione culturale possibile/pensabile. È un progetto instabile e rotto, che si mette costantemente in discussione e cerca di superarsi ogni volta, di accostare l’inaccostabile, di accogliere la differenza, farla propria e ridarle forma, una forma sperimentale e imperfetta, sempre diversa e inusuale. Un progetto che trova nel limen, nel pastiche e nei quanti le proprie premesse teoriche: tre categorie che prese singolarmente sono già state scarnificate ma di cui noi proponiamo una compenetrazione.
Un’officina quantistica
La meccanica quantistica postula che non si possano misurare contemporaneamente la posizione e la velocità di un elettrone, poiché la misurazione dell’una falsa la misurazione dell’altra. Detto altrimenti: la misurazione sarà sempre un po’ giusta e un po’ sbagliata. Limen Pastiche è un’officina culturale i cui risultati non sono mai completamente giusti o completamente sbagliati, ma parziali. Un luogo in cui la parzialità è vista come possibilità esemplare, e non come limite soffocante. Noi operiamo materialmente su delle opere di natura diversa. Facciamo un lavoro di montaggio di pezzi, di scarti, per proporre la nostra visione in un raggio di infinite possibilità e rimontaggi. Giocare con i confini, senza mai giungere a risultati certi. Ed è proprio il quanto a tenere insieme ciò che sembra inaccostabile, il pastiche ma anche il suo contrario. Le rotture e l’instabilità interne al progetto lo rendono forse fragile. Ma noi non aspettiamo altro che il suo totale smontaggio, così come si brama la pulsione di morte. Forti che dopo si potranno rimettere insieme i pezzi in modo nuovo, ancora e ancora, in un ciclo aperto e senza fine.
Deghettizzare il sapere accademico
Vogliamo sgretolare quella torre d’avorio imponente e polverosa in cui è rinchiuso il sapere accademico. Una chiusura asfittica che non consente alla cultura di aprirsi verso nuovi orizzonti/paesaggi e che la rende esclusiva, elitaria. Per noi elitario non è l’uso di un linguaggio non sempre accessibile o intuitivo, ma la costruzione arbitraria di spazi predefiniti e ampiamente inaccessibili; elitario non è porre una sfida al proprio pubblico, ma ritenere aprioristicamente questo pubblico incapace di affrontare testi più o meno elaborati. Ogni operazione di deghettizzazione di questo sapere si pone allora come azione di controtendenza, atto sovversivo e necessario, nonché profondamente umano: poniamo molta attenzione alla saggistica, anche a quella più specifica e complessa, perché confidiamo nell’intelligenza del lettore, nella sua vivacità critica. Operiamo quindi attraverso la creazione di uno spazio fondamentalmente ibrido, in cui la convivenza tra saperi e forme e l’ecletticità dello sguardo sono alla base della deghettizzazione. Se ci sta a cuore la saggistica accademica non è per rinchiuderla in una nuova torre, tutta nostra, ma per riversarla in una piazza. Siamo per la costruzione anarchica e anti-elitaria di un nuovo sapere. Perché “una cultura che si limita a preservare se stessa non è una cultura.”
Responsabilità editoriale: funzionamento di una redazione quantistica
Le riviste culturali, generaliste o di settore che siano, hanno ormai perso da tempo quell’aura di serietà, autorevolezza e avanguardia che le ha contraddistinte per tutto il Novecento. Internet ha contribuito in buona misura al decadimento di quest’aura: poche riviste sono sopravvissute al passaggio dall’analogico al digitale, e nel nostro Paese le persone che campano con quello che scrivono, pubblicano, editano in questo settore si contano ormai nell’ordine delle centinaia. La qualità dei contenuti si è abbassata drasticamente in base alla legge ormai imperante del “tutto fa brodo” e gli articoli non vengono quasi mai riletti, corretti, censurati — perché sì, c’è bisogno di censura, c’è bisogno di una selezione spietata che salvi le cose buone e butti al macero le cose anche solo mediocri; c’è già abbastanza spazzatura che riempie i nostri feed sui social. Cerchiamo quindi di ritagliarci, in questo mare magnum delle pubblicazioni online, uno spazio che sia davvero di qualità. Per farlo crediamo sia necessario abbattere i due principali pilastri dei web magazine:
(1): La rivista come luogo di auto-affermazione del singolo. La poca attenzione riservata all’editing e il vizio di accumulare contenuti hanno portato molte riviste online a ritagliare uno spazio per qualunque collaboratore occasionale. Così, tanti scriventi, nell’inseguire una logica sterile di “visibilità a tutti i costi”, hanno finito per vedere nelle stesse riviste dei luoghi di possibile auto-affermazione. Noi crediamo nel lavoro collettivo, nel dialogo, nell’incontro e nello scontro tra singoli. Cerchiamo di instaurare un rapporto tra autore ed editor che sia concreto e proficuo. La pigrizia editoriale si traveste spesso da prospettiva democratica: “chiunque può dire la propria, con le proprie parole.” Noi siamo democratici, ma non siamo affatto pigri.
(2): Tutto è buono quando cattura l’attenzione. L’ultima cosa che vogliamo è essere meschini con i nostri lettori. Ogni nostra pubblicazione mette in gioco la responsabilità editoriale, e mette cioè in moto una serie di domande necessarie che nessuno sente più il bisogno di porsi: Questa pubblicazione rientra nella nostra linea editoriale? È qualcosa di qualità, che porta avanti un discorso originale e interessante? E se sì, perché è importante pubblicarlo? Noi seguiamo l’attualità, ma non la inseguiamo. Non ci interessa il numero di click, letture e condivisioni. Se ci ritroveremo a parlare di attualità o delle mode del momento è perché siamo persone calate nel nostro tempo e non certo per bisogno di attenzioni.
Ma cosa pubblichiamo esattamente? Opere di qualsiasi genere che impegnano qualsiasi media, ma che si caratterizzano anzitutto per la loro capacità di sfuggire a definizioni precise, per il bisogno di sperimentare nuovi modi di raccontare, mostrare, discutere. Opere che colpiscono per la loro permeabilità multimediale e per la loro radicalità liminare.
Ibridazione, Multimedia, Cultura e non (solo) Letteratura
L’idea del raccontare a tutti i costi, o meglio dello storytelling, non ha impoverito solo l’arte, il cinema, la letteratura, i musei, ma anche la loro critica, che è ormai ridotta a mera applicazione di paradigmi sterili e sempre uguali. Ben venga lo scontro (più che l’incontro) tra media e forme diverse, ma non certo per piegarsi a una narrazione più grande e totalizzante. Le grandi accozzaglie di elementi singoli — tra loro interconnessi ma che possono essere venduti anche singolarmente — sono ben volute dal mercato. La transmedialità è, in fondo, frutto di una logica iper-consumistica, che non si accontenta di vendere dei prodotti, ma anche i rapporti che li legano, il loro universo, la loro mitologia. Non per convincere occasionalmente il consumatore, ma per conquistarlo totalmente. Limen Pastiche è una rivista multimediale, che nell’incrocio insistito e sempre nuovo di forme diverse non ricerca alcuna grande narrazione: ci interessano i dettagli, i frammenti, le cose piccole, gli scarti. Ci interessano le storie complesse, ma anzitutto le idee più crude, le suggestioni più sfuggenti, le immagini più confuse. Dunque una rivista che possa realmente definirsi culturale, senza rifugiarsi del tutto nelle forme della letteratura e della saggistica, né in generale alle forme chiuse e già note, ma aprendosi ad altri tipi di espressione e riflessione, tra il mondo visuale e sonoro. Non per attirare, per vendere, per seguire le mode e le ultime tendenze: noi non ci accontentiamo di ciò che è stato già collaudato. Siamo spinti dalla voglia e dal bisogno di sperimentare ibridazioni inedite. Per questo forse non possiamo definirci nemmeno una rivista. Siamo un laboratorio. Un’officina.
Avvertenze linguistico-formali: schwa e altre cos*
Non possiamo esimerci, come rivista culturale ma soprattutto come esseri umani che agiscono nel mondo, da una riflessione intorno al linguaggio. Il linguaggio che adottiamo non è mai neutro, né quando parliamo né tanto meno quando scriviamo. Non è solo uno strumento di cui ci si serve per descrivere il mondo ma è anche ciò che struttura, plasma e costruisce il mondo stesso. Ha un potere performativo, dunque di creazione, nonché normalizzante: sancisce cos’è la norma e cos’è l’abietto, il respinto, il rimosso. E la rimozione più evidente è senz’altro la rimozione della donna dall’ordine discorsivo: si è sempre parlato di Uomo per intendere il genere umano, per intendere l’Universale. Il particolare, l’Altro, è sempre stata la donna, al confine dell’umano — umana, poco umana, non abbastanza per essere inclusa all’interno del logos. Risulta essenziale, quindi, inserire la donna nell’ordine discorsivo, nominarla, in aperto dissidio con l’uso del maschile sovraesteso, perché agire attivamente sui nostri costrutti grammaticali significa riflettere su chi siamo come società, dove stiamo andando, chi vorremo essere. Essendo dunque contrari al maschile sovraesteso, che di fatto esclude/elimina metà dell’umanità, cercheremo di adottare termini più neutri e inclusivi, accogliendo soluzioni parziali come lo schwa, che, in accordo con il pensiero di Vera Gheno, presenta senz’altro dei limiti tecnici e morfologici, ma risulta essere, almeno finora, l’opzione temporanea più valida.
Fin qui abbiamo definito Limen Pastiche come una rivista, un’officina, un gioco. E dovrebbe essere chiaro, a questo punto, come si tratti di una realtà aperta, che può sopravvivere solo grazie alla partecipazione diretta del suo pubblico. Quel che facciamo può essere riassunto in ultima analisi come un invito continuamente rinnovato a giocare con noi. Per rompere le strutture che credevamo fondanti di una rivista. Per operare nel panorama culturale in modo nuovo. E per divertirci nel farlo.