Poesia di
Andrea Ferraiuolo
Suono di
Carmine Lo Regio
Copertina di
Andrei Costantino Cuciuc
Editing di
Jacopo Abballe
Categoria
Corto-circuiti
Narrazioni rotte
Data di pubblicazione
27 Marzo 2023
Boccafiato
Avvertenza: Si invita a far partire la composizione sonora (musique concrète) prima di apprestarsi alla lettura del poema, così da ottenere un matrimonio-divorzio fra suono e testo.
Il clima a mezzanotte è vomitevole
non si spezza non s’annuncia è solo un
Ah! Oh! Toh! Mh! Ihhh!
Febbrilmente suono parole disattese
e altrove una ragazza che non sa
dei miei fiati lanciati per aria
– Amami! Da! Tra i tuoi capelli ho visto il diavolo
in ascolto al mio impensato star malato
senza scarpe dai piedi che fètono sott’al mio naso
mi sono innamorato!
Ma nel riso che le ridò
c’è dentro inesperienza
tutta un’insicurezza
che cosa deve fare
questo poveretto disvoluto
sordocieco e che pure russa la notte!
A torcer e ritorcer le narici per la puzza della carne
dell’organiche presenze
Lei mi sussurra “Non son di qui”
Io pure sono straniero Mai detto d’esser di qui o di lì
È quest’aria – non senti? – che mi sfronda il cervello
non mi lascia dormire nei miei sogni
ma sì! Muori! Muori! Mu
Oh! Il cuore ha ferite abbastanza elastiche
il respiro è
consapevole
basterebbe
che mutino in versi
Ma guarda mia cara fanciullina sorda quale
estrema solitudine quale estrema reclusione ha disvelto
questi quattro rigurgiti di versi dalla mia bocca
Quale inesperienza! Quale incapacità
Tu cara dovresti scrivermi più spesso
aver più spesso cura di me
Lei mi ride e tende le labbra che stremano sulle mie
ma s’ammutolisce
L’insoddisfazione è derisoria e comicamente violenta
mi rivedo fra un soffio di vetro rotto e l’altro e penso
sono sempre stati così appuntiti i miei zigomi?
Sono sempre stati così pesti i miei occhi?
La mia bocca è sempre stata così… sgretolata?
Così irregolare
Poi la voce maledetta voce Voce mia tua chissà
Ma io non parlo mai sono sempre silenzioso
Ma quella voce che sbatte contro i muri sbalza
finisce nel bicchiere s’ubriaca s’inebria s’eleva
trascende trasuda di piccole gocce guizza
strozzata sale e poi scende caustica claustrofobica
nella gola mi riempie la testa di sangue di grumi di
sangue che scende sempre dal naso mi disegna
una linea ondulata maledetta voce stronza mi rovini
gravemente ogni volta che ti ascolto
La mia la tua vano e smarrito soffio
nel nulla disperso prima morta che nata
già passata prima che cominci
Non ho più nulla da dire
non ho più nulla da dare
Eppure v’è ancora una piccola stronza speranza
alla luna amaranto
attardati i baci sul collo
imbavagliano le bocche in lingue su lingue
Tu non conosci il Sud
“Tu non conosci l’Oriente!” mi fa
E allora noi non ci apparteniamo! Va via va!
Lei mi chiede d’andar via con lei
indica il sole
mi sussurra frasi nuove volti saggi
con un fascino imperiale
appare mia sovrana
Ma del miraggio non sono ancora prigioniero
le ricompongo il muso d’un tratto smorfiato
la bocca definita seguita a parlare – Che dolci parole
Ho notato le giornate si accorciano sempre di più
anche oggi
ho visto mio padre per appena due minuti
E m’interrompe bofonchiando
“Disgraziato tu di me non ti ricordi
noi due insieme
mi hai scordato nell’Oriente!”
– Ma il movimento dei suoi occhi
difettosi delle mani possessive del suo sesso infernale
è vergine per il mio sguardo da pescatore
Movimento dei sensi dei segni del senso
dei sogni – che non so più quali fare –
in questo bacio impresso c’è la poesia
Sudigiri ioresto ondaschiuma
prateria fiumazzurri stercolandia
eppure
lentamente
aspetto
Lei intimidita dal mio delirare
dolce mi fa addio ma cara mia!
lasciassi l’Europa davvero sarebbe fatta?
L’aria fredda mi brucerebbe i polmoni
L’aria rovente mi brucerebbe i polmoni
L’aria del disincanto m’imbrunirebbe mi ammalerebbe sì
vedi già pellicine e scaglie e pelle vitrea
Ah lo farei soltanto perché ormai
odio la patria! Devo pregarti di scusarmi
venti e mari sono smorti dalla volta
che volai e che nuotai
Qui io sto e alludo ad essere
in questo andare ch’è già stato
Amami! nuovamente ancora rinnegami
non aspettare un paralitico monco in carrozzina
Ohh! Ah! Va! va le dico e
lei mi viene più vicina più vicina
mi guarda il cervello le orecchie
e con labbra serre diventa notte
Fosse stata un tantino più loquace!
Non ci conoscevamo affatto
ragazza sordocieca
non ci sarà la mia voce a farsi udire
bestemmiata ora dal tempo ora dalla
tua cheffalsa esistenza
Di noi stranieri
le parole nostre
son morti fiati dimenticati
Nato sulle ceneri di un poema distrutto dallo stesso autore, Boccafiato è l’espressione disperata di uno spirito incendiario. Chi scrive sembra avvicinarsi alla poesia come un carnefice alla sua vittima: amare con tanta follia quello che si ha intorno da volerlo distruggere completamente – non esiste altro modo per possedere fino in fondo. Sarebbe comunque sbagliato etichettare Boccafiato come un testo mortuario, perché nelle sue convulsioni del linguaggio, nei suoi echi deliranti di senso, nelle sue sfumature più violente e perverse esprime una vitalità che è al contempo malata e vivace. La composizione che lo accompagna dà corpo a una morbosità incessante, inarrestabile, che ritorna compulsivamente su quelle “voci maledette” che nel testo saltano da una pelle all’altra, rimbalzano sulle pareti, si scagliano nello spazio… Ciò che colpisce alla fine di questa lettura-ascolto è proprio il silenzio profondo nel quale siamo richiamati a tornare, e che per un po’ ci sembrerà estraneo, forzato. La poesia come delirio. Il delirio come salvezza.