Testi di
Odissea Di Bernardo
Editing di
Andrea Ferraiuolo
Categoria
Narrazioni rotte
Data di pubblicazione
31 Maggio 2023
Storia della mia pelle di tutti e di nessuno
Pensieri irrazionali del mio corpo senza vita
Le pareti della stanza mi soffocano, mi sembra che abbiano vita propria, che si avvicinino sempre di più a me, al mio corpo, al corpo che sono io. Le vedo arrivare: sono qui, sono strette intorno a me non respiro non respiro non respiro. Mi schiacciano, il loro bianco mi acceca e io resto qui raggomitolata su me stessa, con il bianco sotto, sopra e intorno a me. Chiudo gli occhi ma continuo a vedere bianco. Respira, mi dico. Respira, mi ripeto. Ma l’aria non arriva ai polmoni. È solo una sensazione, non morirò. L’aria non arriva mai ai miei polmoni, eppure sono viva. L’aria non arriva perché sono stupida. Perché la mia mente non la percepisce. Perché non so vivere, non sono portata per la vita. Me lo diceva sempre mia mamma, questo me lo ricordo: tu sai solo studiare, non sai vivere. Hai sempre il naso in mezzo a un libro, è un modo per nasconderti e non affrontare la vita, vedi che sei un’incapace, che combini casini, rompi le serrature delle porte, le chiavi, le rompi e una volta le hai anche perse, perdi tutto. Non sai vivere, la vita non è nei libri. E come fai a scrivere bene se non vivi? Non sai scrivere finché non sai vivere. No mamma, la vita non è solo nei libri, ma è anche nei libri: io amo i miei libri mamma, non togliermeli. No mamma, non uso lo studio come scusa per nascondermi, te lo giuro. Io amo lo studio, è una parte importante della mia vita, ma non è tutta la mia vita. Io so vivere, mamma. Su una cosa però hai ragione: io non so scrivere. Quando sarai mamma capirai, ma forse questa faccenda della maternità non è che mi convinca più di tanto, sai.
Ma dove sono, perché tutto questo bianco, perché solo questo bianco e il mio corpo nudo? Questo bianco, delle pareti di una stanza spoglia, bianco che mi annulla, mi soffoca e mi culla; bianco come le mie mani, le guardo, non mi sembrano più mie, sono estranee, mani bianche, quasi trasparenti, e le unghie pure, unghie corte e consumate. Ma perché sono così bianche? io avevo sempre avuto una carnagione olivastra, mai bianca così. È un bianco trasparente, mi sembra quasi di poterci passare attraverso; vedo le vene, i tendini, le ossa delle dita, vedo attraverso la mia pelle. La mia pelle di tutti e di nessuno.
Non riesco a pensare la concentrazione vacilla la testa mi scoppia e tutto questo bianco intorno sopra sotto dentro me mi fa impazzire non voglio non voglio basta bianco basta mi uccidi mi soffochi mi schiacci mi annulli mi trasformi mi porti con te in questo vuoto di colore in quest’assenza di vita che è il bianco in quest’eterno vuoto. La morte non è nera è bianca e io sono morte noi siamo morte, non vita ma solo morte, siamo assenza, vuoto e ci fingiamo un pieno, cercando di esserlo davvero, riempiendoci: di cibo, di alcool, di sesso. Quando lui mi entra dentro mi sento piena mi sembra di essere finalmente un pieno, di non essere più un vuoto, ma quella pienezza sfugge subito via. Il tempo di entrare ed è di nuovo fuori. Dentro, fuori, pieno, vuoto, e questa continua interruzione, questa continua alternanza, questa continua presenza-assenza nello stesso tempo mi porta i brividi la pelle d’oca, assenza-presenza insieme vuoto e pieno contemporaneamente. Piena vuota, piena-ah vuota-no, ah-no, ah-no, ah-no, no, no, no, entra ti prego, ah, rimani dentro, rimanici ancora un po’, solo un altro po’, resta dentro, non uscire… no, ah, ah, sì, ah no ah sì, sì, rimani… e vieni. Sono di nuovo vuota. Ma forse il vuoto mi piace, forse il vuoto in fondo mi eccita, il brivido del vuoto, del vuoto che sta per riempirsi per tornare di nuovo vuoto e ancora e ancora. Questo bianco mi dà alla testa, cosa sto dicendo, sembra afferrarmi, stringermi la gola in una morsa, l’aria non passa e non riesco a fissare bene le immagini che mi balenano per la mente, non riesco a pensare bene, tutto questo vuoto, questo bianco avvolgente, mamma ho paura mamma abbracciami mamma dove sei perché quando ho paura non sei più con me? Perché quando sono a pezzi scappi via mamma vorrei solo una carezza, perché non vuoi darmi una carezza? Quando fai la brava, ora non ho tempo, non fare i capricci, ma io le ho provate tutte, ho provato a essere una brava bambina, ma non sono mai stata brava abbastanza: per essere brava non dovevo disturbare, non dovevo dare fastidio, non dovevo avere bisogni miei. Neanche quando stavo male potevo dirlo, dovevo imparare a cavarmela da sola, ché nella vita siamo tutti soli e non dovevo permettermi di disturbare nessuno con i miei malesseri e con i miei capricci: non dirlo, resisti, è solo mal d’auto, ti viene solo da vomitare ma puoi controllarlo, non devi dare fastidio, che noi abbiamo un viaggio lungo davanti e non possiamo fermarci per te. Dai Sara non fare i capricci. E se non vomitavo: lo vedi che è tutto nella tua testa? E se vomitavo mi urlavano addosso, ma non potevi farci fermare, non potevi controllarti? Ma non riesco come faccio a controllare a tal punto il mio corpo da non farlo stare male mai? Non capisco come si faccia, lo farei volentieri se solo riuscissi a capire, come si fa? Come si fa mamma, insegnami tu che sai tutto. Ce la si fa, il male è solo nella tua testa, fai i capricci in macchina per attirare l’attenzione: a sei anni attiravo l’attenzione vomitando in auto dopo ore di viaggio, nessuno si è mai preoccupato di dirmi che era normale stare male, che poteva capitare, non era una colpa, neanche mia sorella ci è riuscita, mia sorella che stava accanto a me nel primo viaggio di famiglia che abbiamo fatto. Mia sorella… com’è che si chiamava? Perché non me lo ricordo? Il suo nome … non ce l’ho nella testa non lo conosco più non la conosco più, ricordo solo un volto sfocato, dolce, i suoi capelli biondi. Lei era lì e mi teneva i capelli mentre vomitavo, ogni tanto mi asciugava qualche lacrima, provava a darmi qualche carezza veloce, ma le urla erano troppo forti, mi risucchiavano, che figlia stupida che ero, dovevo sempre vomitare, stupida stupida stupida. Non devo disturbare non devo disturbare respira, non stai male davvero è nella tua testa puoi non vomitare, e invece vomitavo. E disturbavo. Le brave figlie non vomitano durante i viaggi, le brave figlie non disturbano. Le brave figlie non esistono. Ma tutte quelle urla, quelle urla mi uccidono non respiro vi prego smettetela di urlare non lo sopporto mi sento male tutte quelle urla mi rompono dentro. Ho paura delle persone che gridano non riesco ad ascoltarle riesco solo a pensare respira respira basta basta smetterà. Uno due tre, continua a contare, quattro cinque sei, starà per smettere canta cervello cantami una canzone che sovrasti tutto questo rumore folle che mi porta alla pazzia mi viene da piangere non posso piangere ho la tachicardia non respiro le lacrime negli occhi non respiro tremo cosa mi succede non riesco a muovermi non respiro vi prego basta urlare basta.
Mamma mi dai un abbraccio, vorrei solo un abbraccio, mi fa paura papà quando urla, mi fanno paura tutti quando urlano, le urla addosso mi fanno sentire così piccola, stupida e inerme; quelle urla sono sopra sotto dentro di me non riesco a pensare riesco solo a smettere di respirare e cercare di sparire. Se non parlo non respiro guardo in basso quelle urla finiranno non mi troveranno più: fatti più piccola possibile, più invisibile possibile dimagrisci fino a sparire e quelle urla non ti vedranno più.
Mamma, mi fai una carezza? Mamma? Ti abbraccio quando fai la brava, ma cosa vuol dire fare la brava? Se mi sento male, se sto male e lo dico, non sono più brava, se disturbo non sono brava, se faccio la pagliaccia non sono brava, se sono seria non sono brava, se rido troppo forte non sono brava, se leggo troppo non sono brava, se scrivo troppo non sono brava, se ho qualche bisogno non sono brava, devo sparire non devo dare disturbo solo così avrò le mie carezze. Ma forse, a un certo punto, cercando di non disturbare, le persone non mi vedranno più. Non sono sicura di voler essere brava. Sei troppo fredda hai un cuore di pietra non mi dai un abbraccio? che fine ha fatto quella bimba sempre sorridente? Non lo so mamma, non la trovo più. Non troverai mai qualcuno che ti ami se sei così fredda hai un cuore di ghiaccio niente ti scalfisce! piangi un po’ non piangi mai! chi ti amerà così? l’amore però non esiste ricordatelo sempre posa quei libri romantici che non ti servono a nulla solo ad alimentare illusioni vedi quello che leggi è tutto sbagliato nessun bambino ti amerà mai come nei film o nei libri vedi me e tuo padre l’amore non esiste esiste l’affetto e l’abitudine devi proteggerti mi raccomando. Devo, devo, devo essere così tante cose che non respiro, non respiro ho sei anni e non respiro ne ho sette otto nove dieci quattordici, quindici diciotto e non respiro. Non respiro neanche ora, a ventidue, anche se va molto meglio. Mi fai una carezza mamma? Dopo amore, ti voglio bene ma ora ho da fare. Le carezze dovevo meritarmele, e a un certo punto, non le ho più volute. O meglio, ho fatto finta di non volerle più, ma la notte, per addormentarmi, erano le mie mani che usavo per accarezzarmi. Poi sono arrivate le sue mani, mi hanno accolta, accarezzata, maneggiata con cura come se fossi qualcosa di fragile. Prima dei vent’anni, non ho avuto mani che mi accarezzassero davvero, ho avuto prese forti, tanto forti da lasciarmi il segno, mani che neanche mi toccavano davvero, mi passavano quasi attraverso e le mie di mani che si aggrappavano con forza a qualsiasi cosa, a qualunque contatto, purché sentissi il calore di un’altra persona al mio fianco. Quando ho ricevuto le prime vere carezze da mani maschili mi sono sentita persa una bambina che non sa cosa fare che non sa cosa fare delle sue mani di quelle di lui come si riceve una carezza? non sono abituata non sono abituata al contatto fisico non mi hanno insegnato queste cose, la mia pelle non le sopporta, tutte quelle carezze, è repellente alle carezze, non le vuole non vedete che le carezze mi uccidono? vi prego non toccatemi con le vostre mani calde con le vostre mani vive io sono ghiaccio finirei per sciogliermi vi prego non toccatemi vi prego io sono fredda non le voglio le carezze non voglio l’amore non voglio niente voglio solo le mie mani voglio solo annullarmi non lo voglio il calore non lo merito vi prego. No no no non toccatemi non lo sopporto non ce la faccio. Il bianco, il bianco mi è addosso, mi avvolge e io soffoco. Le sue mani, le sue mani che mi accarezzano … Quando ho imparato ad accogliere le sue carezze? Ma ho imparato davvero ad accoglierle? Forse sì forse no a volte altre volte le sue mani mi distruggono stringimi forte ti prego non la voglio la dolcezza non voglio essere qualcosa di fragile non sono fragile se mi stringi non mi rompi se mi accarezzi in quel modo sì ti prego stringimi più forte fammi perdere il respiro solo un secondo un secondo solo ma tieni lontano da me quelle mani dolci mordimi piuttosto legami ma non accarezzarmi in quel modo non ce la faccio mi rompo se mi accarezzi dolcemente prendimi con forza non lo voglio il romanticismo non lo voglio l’amore.
Mamma, mi sono rotta e non so come fare. Come ci si aggiusta, mamma? Tesoro non ci pensare, non è niente, anche io alla tua età stavo male quando mi lasciavo con qualche ragazzo, ci sono problemi più grandi, io ho problemi più grandi. Mamma ma io non ho mai avuto un ragazzo per davvero, di cosa parli? Mamma mi ascolti? Mamma non è questo il problema, sono rotta, sono a pezzi, il mio corpo non è più mio mamma, come me ne riapproprio? Tesoro scusa ma sto malissimo, non posso occuparmi di queste cose da adolescente, ho litigato con tuo padre, sono così sola non so come fare. Non preoccuparti mamma, non sei sola, ci sono io. Va tutto bene, hai me, ci sono io mamma non preoccuparti, ci penso io. Posso aggiustarmi da sola più tardi, ora tu hai bisogno di me e io sono qui, non ti lascio sola. So quanto faccia male stare sole quando si è rotte, non lascerò mai che qualcuno possa essere solo nei momenti difficili. Ma perché a me tutti lasciano sola? Tu sei la mia roccia. Va bene mamma sono la tua roccia le rocce non si rompono non si muovono, sarò così anche io per te puoi appoggiarti quanto vuoi, ma io non sono roccia io sono carne morbida. Il bianco è di nuovo su di me mi mozza il respiro ho paura ho così paura non voglio morire non voglio ma forse sono già morta non posso morire se sono morta no? il bianco il bianco si apre cos’è questo fascio più scuro una mano una mano si allunga mi porge delle pillole ma quante sono non capisco si confondono fra loro le prendo le guardo sono bianche ovali non capisco il numero, mi sembra che si sdoppino sono due? quattro? sei? non capisco Dio non capisco la mia testa ma cos’è. Prendile, starai meglio, è per il tuo bene, l’ha detto la dottoressa. Mamma mi stai mandando a morire lo sai? Mamma ora ricordo fammi uscire mamma fammi uscire ti prego. Mamma? Mi hai lasciato di nuovo sola fra queste pareti così bianche maledetta psicoterapeuta mi ha ingannata, ha detto che mi avrebbe salvata (proprio lei!) e invece con le sue pillole da quattro soldi mi ha uccisa questo è il mio inferno personale non sono stata una brava bambina per quanto io ci abbia provato sono morta a quanti anni? Ventidue? Venti? Non ricordo, quando ho incontrato la mia assassina? Quanto tempo è passato? Quanti anni ho? Quando sono entrata in quel consultorio? Cerco di ricordare ma è tutto così sfocato la prima volta in cui ci sono entrata avevo davanti un bizzarro signore con cui mi trovavo splendidamente, mi ascoltava, sembrava stimarmi, non mi considerava una poverina una povera ebete. Quando si è trasformato in una donna? Dio che fatica ricordare che fatica fissare le cose le immagini le sensazioni gli eventi. Entro in una stanza, una donna mi saluta guardandomi male da sopra i suoi occhiali. Come ti chiami e per cosa sei qui? Sara, fino a febbraio ho fatto psicoterapia qui con il dottore che se n’è andato, volevo ricominciare. Dimmi a cosa ti serve, dobbiamo capire quando piazzarti. Bello, non sapevo di essere un pacco, sono qui per… uhm… non ricordo, per ansia? disturbi della personalità? boh, chi lo sa, non lo so più, due parole mi balenano in testa: violenza sessuale. Era per quello? no, me l’ero inventato, non so da quanto tempo sto in questo bianco però funziona, violenza sessuale, eccole le due parole magiche il mio comodissimo telepass salta fila. Il suo viso diventa morbido, lei diventa dolce. Tesoro, quanti anni hai? Cavoli miei. Ti ho messo per prima, va bene? Va bene. Il bianco ritorna mi avvolge mi lega mi stringe. Sono in una stanza grigia ora. Una signora vecchia mi guarda con compassione. Tesoro sai che finirai imbottita di psicofarmaci prima dei trent’anni se non fai qualcosa? Ma io sono qui sto facendo qualcosa dottoressa e poi ancora non le ho raccontato nulla come fa a dirlo senza che io abbia iniziato a parlare? Non sapevo che voi psicoterapeute foste anche delle veggenti sa. Sei troppo fragile tesoro, hai bisogno di aiuto. Ma perché nessuno mi ascolta? Mi fate parlare vi prego non giudicatemi prima che parli non mi conoscete io non sono una povera ingenua non sono una bambina da indirizzare fatemi raccontare io non sono fragile non sono più piccola sono una donna abbastanza consapevole ma forse sono pazza. No no stai calma tesoro gli psicofarmaci sono la tua unica speranza. Mi ricordavo di essermene andata mandandola mentalmente a fanculo ma evidentemente se sono avvolta in tutto questo bianco non è così. Questa stanza queste pillole non capisco dov’è la realtà qual è la realtà non capisco non capisco mi sono laureata? ho finito gli esami? non me lo ricordo più non capisco più quale sia la realtà e quale la finzione cosa è nella mia testa e cosa è reale? L’unica cosa reale è il mio corpo queste pareti sono la mia mente questo bianco è la mia mente questo bianco sono io io sono la mia morte non la mia vita. Mamma mi sono laureata? Ho finito gli esami? No amore, sei sempre rimasta qui dentro.
Le pareti siderali. La malinconia dell’analisi di se stessi. Affanni. Spazio siderale. Pelle siderale. Corpo siderale. Saper vivere, saper scrivere… Saper creare una vita. Verginità delusa. Trasformazione in un gioco di pieni e di vuoti. Qui lo spirito vacilla e si confonde: perché si tratta della morte, perché si tratta di un enigma totalmente celato. Una coscienza materna e diavolesca la vuole adulta, la vuole sofferente, la vuole simulacro di sé, simulacro di una coscienza, la vuole non-esistente. Il dialogo fra Io e Io-madre persiste, si tramuta in scontro al quale l’Io non può che sottrarsi; finisce in mani egemoni, siderali: il corpo si rompe. Ed ecco che per ricomporsi serve nuovamente l’aiuto dell’Io-madre (“Come ci si aggiusta, mamma?”), ma non serve a niente, lei ne ha passate di peggiori, ha altro a cui pensare. Così l’Io regredisce, torna allo stadio infantile, dei capricci, vuol essere altresì abbracciata dall’ennesima figura materno-siderale, la dottoressa X. Dottoressa X è in combutta con l’Io-madre, l’Io lo percepisce, vogliono entrambe una cosa sola: la morte dell’Io. La disgregazione del suo corpo fragile ed esangue come un vaso cinese. Capricci anche con la dottoressa X. Il racconto è, in effetti, un insieme di capricci. Di due tipi: i capricci visti dall’esterno, cioè motivi infantili che ricercano l’attenzione genitoriale, e i capricci visti dall’interno, dall’Io – e anche da noi che leggiamo – ossia cocciutaggine, ostinazione e, in parte, anche passione.
La forma della narrazione non poteva che esprimersi con un flusso di coscienza ascendente. Flusso divoratore, è di questo che si tratta. Un fiume in piena che trascina con sé ricordi reali e ricordi contraffatti; dialoghi stampati sul cranio, come dialoghi verosimili; Io scisso. E sembra quasi rappresentare la morte dei confini. Ogni urgenza liminare è fottuta: tutto si fonde, si divide e si confonde. Non appare più definito l’Io, il corpo, la mente, e così il corpo-testo.
Il corpo qui parte dall’essere descritto come senza vita; non è solo visto come fonte di piacere e oggetto su cui sfogarsi, ma anche come oggetto di smodate attenzioni, e non per la sua cura, ma letterarie, del pensiero. Il corpo è oggetto di riflessione, nella continua preoccupazione della decadenza dello spirito, ma è lasciato deteriorare. Diviene quindi un mediatore per la salute mentale, un contenitore. Più il contenitore è scalfito, più il suo contenuto marcisce. In questo caso, il contenuto psicologico si scinde in Io e Io-madre, si ferisce da solo, ma non si uccide; si insulta, ma non si prende a schiaffi; si coccola, ma non si ama. Questo corpo e questo spirito sono vittime del loro stesso non amarsi. Ma, ancor di più, vittime di coloro che non li hanno mai amati abbastanza. Infine, contenuto e contenitore paiono tornare circolarmente dov’erano già stati. Tornano indietro, intrappolati nelle viscere dell’inconscio. C’è la volontà di sbucare fuori, ma si è tornati inevitabilmente ad abitare la placenta materna.