Installazioni di
Lorenzo Zerbini
Testi di
Lorenzo Zerbini
Editing di
Simone La Penna
Categoria
Alleanze
Ombre latenti
Data di pubblicazione
16 Aprile 2023
Giardini Celesti
Introduzione alla serie: ALLEANZE indaga le possibili permutazioni e i rivolgimenti insperati di unioni che saremmo tentati di derubricare come condannate aprioristicamente al fallimento e alla rovina. Ma a emergere sono, invece, alleanze interspeciste che provano progressivamente a riallacciare un rapporto con l’umano, alleanze concettuali tra tecniche passate e prospettive post-umane proiettate verso il futuro, alleanze tra narrazioni fisico-visuali dall’impellente materialità e soggetti che mettono in crisi il rapporto tra realtà e immaginazione, presenza e assenza, spettatori e opere scrutate.
L’etimologia della parola “giardino” racchiude una duplice dimensione: deriva dal gotico gart (“recinto”), richiamando quindi una dimensione di organizzazione spaziale, e al contempo la parentela semantico-concettuale con il termine greco biblico parádeisos (“giardino [dell’Eden]”, dal quale deriva il concetto di paradiso) suggerisce una dimensione utopica, un locus amoenus. È sulla base di questa duplicità che Giardini Celesti si propone come una serie cartografica di giardini planetari, delle mappe speculative che rievocano la tradizione delle planimetrie talismaniche degli orti rinascimentali per tracciare nuove utopie ecologiche. Collage vegetali interspecisti di diverse specie di foglie si intersecano alle trame geometriche di alcuni dei sigilli teorizzati dal filosofo cinquecentesco Giordano Bruno, che attua una concreta rivoluzione cosmologica mappando ciò che definisce un Universo Infinito senza centro, o con infiniti centri. In un mondo senza centro e senza confini, l’infinito dissolve qualsiasi forma di antropocentrismo e gerarchia: ogni scala spazio-temporale assume così la medesima dignità d’esistere.
Il pensiero di Bruno è tanto moderno da riecheggiare come un’alleata anticipazione di ciò che Gilles Clement, 500 anni più tardi, definirà come il Giardino Planetario. Clement sostiene che la dimensione del giardino, nell’arco della storia, racconti sempre lo stesso sogno: la possibilità di costruire un felice equilibrio tra gli esseri che condividono uno spazio comune. I Giardini Celesti sono una mappatura non più finalizzata a conferire un orientamento, quanto piuttosto a suggerire una mappa mentale e speculativa che vuole teorizzare un’imprescindibile interconnessione tra microcosmo e macrocosmo. La dimensione del giardino, quindi, non corrisponde più a una dimensione spaziale, ma a un archetipo mentale, un luogo di pacificata comunione tra i regni, tra natura e cultura, tra cielo e terra.
Dall’alto verso il basso: Lucifer Seu Reportator, Atrius Veneris, Atrius Minervae, Examen Tetragonismi, Atrius Apolli. Tutte le installazioni misurano 50 x 50 x 90 cm.
Dall’alto verso il basso: dettagli di Lucifer Seu Reportator, Atrius Minervae, Atrius Veneris, Examen Tetragonismi.
Al termine di una serie di riflessioni sulle possibili sinergie interspeciste, sulle inevitabili esclusioni che comportano, sui loro sviluppi futuribili e i loro antichi prodromi spesso inascoltati, alla fine di ALLEANZE, non può che palesarsi la necessità di concretizzare le risposte alle domande che queste unioni ci pongono, e che, lungi dall’essere meri interrogativi retorici, costituiscono l’essenziale base da cui partire per indagare quali possano essere le realtà sincretiche tra entità post-umane e ciò che rimarrà della nostra specie. Giardini Celesti offre, nella figura del giardino, uno spazio di accoglienza vicendevole in grado di non cedere a una colonizzazione antropocentrica né fisica né concettuale, ma di lasciare al contempo uno spazio d’azione per un’umanità ormai in grado di accettare e accogliere questo gioco simbiotico.
Ancora una volta, tornano fusioni di pratiche artistico-estetiche in una costante manifestazione fisica di tensioni la cui apparente antinomia non viene semplicemente decostruita, ma direttamente risignificata: i sigilli bruniani diventano finestre su un’utopica trascendenza, per raggiungere la quale è però necessario prendere atto dell’estrema materialità dell’opera stessa; allo stesso modo, gli incroci vertiginosi tra le trame delle foglie e le geometrie a‑gerarchice di Bruno costituiscono una reificazione visiva del rizoma postulato da Deleuze e Guattari, ma al contempo sono gli stessi limiti spaziali dei sigilli (e delle installazioni di cui si servono per strutturare la loro natura di finestre su altre realtà) a ricondurre a ragione un processo che non vuole far scomparire il senso dei rapporti specifici tra specie, piuttosto tende a indagarlo e promuoverlo come unica possibilità per una convivenza effettiva.
Anche attraverso mappe che non vogliono essere tali e dinamiche centro-periferia svuotate di significato possono quindi continuare a esistere delle relazioni definite e delle proiezioni altrettanto definibili. Giardini Celesti ci porta in una dimensione post-postmoderna di recupero di senso, nella consapevolezza che il posizionare questo impulso in una realtà utopica non ne conculca la validità, non ne sottende il fallimento nel mondo reale, non ne costituisce l’implicita ammissione di impossibilità: una simile operazione, non soggetta a un’ottica antropocentrica totalizzante e coloniale, ma sbocciante viceversa dalla purificazione di questi stessi impulsi, dal loro svuotamento concettuale e ri-cooptazione visivo-materiale, non può che giocarsi sulla soglia tra immanente e trascendente su cui si colloca l’opera tutta, non può che prospettare una direzione che sia innanzitutto concettuale, ancor prima che spaziale. I sigilli vegetali che compongono queste installazioni ci promettono sì un’utopia, ma ci spronano contemporaneamente a raggiungerla, a trasformarci nella loro stessa incongruenza: delle proiezioni cosmiche catturate nella loro cesellata fisicità.